giovedì 14 gennaio 2010

lou reed e l'amore - shelley albin (prima parte)


Lou Reed incontrò Shelley Albin, ispiratrice delle più belle e famose fra le sue canzoni d’amore, durante il secondo anno di Università, a Syracuse, nel 1962. Passarono insieme, letteralmente appiccicati l’uno all’altra, i due anni successivi. Erano anime complementari e non riuscivano a stare lontani. Proprio per questo, paradossalmente, la prima testimonianza di quest’amore assoluto, fu il frutto della lontananza, durante il ritorno a casa per le vacanze estive fra secondo e terzo anno di università. Chi non ha presente quel sentimento così comune nelle storie a distanza, quando si sta soli a casa struggendosi di passione e malinconia e sospettando invece che l’altro se ne vada tranquillamente in giro a divertirsi con chissà chi? Ecco, il giovane Lou incanalò le sue prime crisi di gelosia in un breve racconto intitolato The gift, il dono, sviluppandole però in una trama grottesca, con tanto di omicidio finale di lui da parte di lei, e che prenderà la forma di un’agghiacciante spoken song solo nel 1967, quando John Cale lo recitò con voce incolore su una sgangherata base musicale improvvisata dai Velvet Underground per il loro secondo disco, White light/White heat. Qui sotto un bellissimo cortometraggio in italiano della canzone.



All’opposto, con I found a reason, ho trovato una ragione, l’altro grande pezzo scritto quell’estate, Reed scrisse la sua prima canzone d’amore in cui cercava di dare al proprio sentimento una forma attraverso le parole, di comunicarlo a un’altra persona. Ci aveva già provato pochi mesi prima con Coney Island Baby, una canzone che però non avrebbe avuto seguito e sarebbe stata completamente riscritta (e dedicata a un’altra persona) a metà degli anni ’70. È interessante notare come la prima versione di I found a reason, che tanto commosse Shelley quando la ascoltò, fosse arrangiata come un pezzo folk con tanto di armonica dylaniana (come la si può sentire nell’antologia Peel slowly and see). Non è una semplice curiosità, se si considera che il folk, nei primi ’60, era sinonimo di sincerità assoluta, spoglia ed essenziale. Quando Reed decise di riutilizzare il pezzo per Loaded, l’ultimo album dei VU, lo arrangiò con eleganza in chiave doo wop, lasciando il cantato a Doug Yule, il bassista del gruppo e tenendo per sé solo la strofa centrale parlata. Reed disse poi che non sarebbe stato credibile se l’avesse interpretata lui, ma è ovvio che non si sentiva a suo agio a cantare un brano in cui dichiarava così spudoratamente la propria sensibilità. A me personalmente piace, ancora più dell’originale, l’intensa versione che ne ha dato Cat Power nel 2000, e che credo catturi alla perfezione il sentimento di totale abbandono romantico provato da Reed quando la sentì nascere dentro di sé.



Nel 1963 il rapporto di Lou e Shelley si fece ancora più saldo. Divennero, come disse poi Reed, così intimi da essere quasi uno, da pensare le stesse cose nello stesso momento, da vivere in totale simbiosi e completare l’uno i bisogni dell’altro. Chi ha vissuto una storia così sa che sono brevi momenti di perfezione, ma restano unici nella memoria. Reed volle celebrare questi momenti in quello che può ritenersi il suo primo capolavoro assoluto come compositore, I’ll be your mirror, sarò il tuo specchio, perché se la guardavo, disse poi Reed, era come vedere me stesso. Una canzone a cui poi restò sempre legato ma incisa, sul primo disco dei VU, da Nico. Quei mesi e quella canzone furono il loro apice di felicità.
L’idillio finì quando Lou fece il grosso errore di chiedere a Shelley di presentarlo ai suoi genitori. Quando i due lo incontrarono si ritrovarono davanti a un tossico cinico e nichilista, e (comprensibilmente) impedirono alla figlia di rivederlo. Il loro divenne così un amore segreto, trascinatosi fra grandissime difficoltà, dovute ai primi massicci esperimenti con le droghe di Reed (in questo periodo scrisse Heroin e Waiting for my man) che avevano un effetto deleterio sul suo carattere. Alla fine Shelley, stanca, lo lasciò per un altro. Reed ci rimase male, tanto da litigare ferocemente con lei. Ma quando nel 1964 si laureò, prima di andare via dall’Università, si fermò a casa di lei, che era malata e non aveva nessuno accanto e le rimase vicino, prendendosene cura, finché non fu guarita. Era la prova che in fondo, nonostante tanti problemi, l’affetto fra loro restava sempre fortissimo. Poi i due si persero di vista per quasi tre anni, il tempo necessario a Reed per formare i Velvet Underground e per completare la sua discesa all’inferno nella Factory di Andy Warhol.


(continua)

4 commenti:

SCIUSCIA ha detto...

Sei venuto bene in quella foto.

lillo ha detto...

grazie, la droga ha un brutto effetto sui muscoli facciali... ;)

Sebastian ha detto...

Wow! Son felice che qualcuno parli dei Velvet Underground.. e di Lou Reed, che io personalmente adoro (il film Trainspotting senza la sua Perfect Day non sarebbe lo stesso)! Non conoscevo la storia d'amore.. e devo dire che - un pò banalmente - mai mi sarei aspettato un tale entusiasmo di Mr. Heroin per quanto riguarda l'amore. Ah, dimenticavo.. mi piace tantissimo Cat Power.. quella cover è stata inserita nella soundtrack del film "V per Vendetta", un altro dei miei must!

Ciao! =)

lillo ha detto...

mah i grandi songwriter credo si entusiasmino un pò per tutto, se riescono a vedere la luce di qualcosa di nuovo da dire, o semplicemente un modo diverso di dirlo... e il cantante preferito di lou, qualsiasi cosa se ne dica, resta frank sinatra ;)