Ieri sera, prendevo un caffè con un’amica, si parlava di editoria e mercato e all’improvviso, dopo averci pensato un attimo, mi ha chiesto perché mi ostino a scrivere ancora di poesia, che tanto non la legge più nessuno. Sulle prime ci sono rimasto male e ho provato a rispondere meglio che potevo. Ma in effetti non è colpa sua, quella che ha espresso è un’opinione comune.
Ed è strano, ci riflettevo stamattina, come ormai si legga dovunque che la vera poesia (quale che sia la vera poesia) abbia ormai un piede nella fossa. Eppure, allo stesso tempo, in molti si lamentano scocciati, e con un atteggiamento che sinceramente trovo non poco snob, che c’è più gente che scrive poesie (spesso brutte), di quante ne legga. Oddio, per certi versi è vero: chi scrive brutte poesie toglie spazio necessario agli altri. E il mercato della poesia, che sforna centinaia di libri al giorno, arricchendosi dei sogni di tanti poveri malcapitati, ha lo stesso e di continuo i conti in rosso, perché strozza il mercato e non mette in evidenza nessuno. Insomma, come ho letto la settimana scorsa (credo) sullo speciale domenicale del Sole24Ore, la prima colpevole se la poesia non funziona oggi, è proprio la poesia. Che ci prova ma non riesce a rinnovarsi e ad adattarsi ai tempi che vive.
Questo però non significa che la poesia sia finita. Tutt’altro mi pare. Io vedo tutta questa gente che riempie i suoi diari segreti o i muri alla stazione o i tovagliolini dei bar, se preferite quel tipo di romanticherie, e sono felice, davvero. Anche se poi quel che scrive sono cazzate, e se quelle cazzate non intaccheranno minimamente, per loro stessa natura, il mercato editoriale.
Il fatto che la gente, molta gente, tantissima, senta il bisogno di mettersi e scrivere in versi i propri sentimenti o stati d’animo, io la vedo una cosa bellissima, e molto molto consolante. Significa che al di là di tutte le lamentele che giornalmente vengono a propinarci, e del fatto che si rimproveri oggi, a tutti, di essere vuoti e spenti e privi di ambizioni e sentimento, c’è ancora chi ci crede nella poesia, chi la sente sua e la vive come un’esigenza primaria, per cui fermarsi ad appuntare dei versi diventa una cosa necessaria, fondamentale, proprio come mangiare e dormire. Magari sarà anche poesia ingenua nella forma ma nello spirito c’è tutta, e cos’altro conta alla fine?
In fondo, se ci pensate bene, abbiamo cominciato tutti così. Con un foglio di carta e una penna e la volontà di parlare col cuore in mano. Soli e nudi e con l’impulso irrefrenabile a dire, a raccontarsi. Certo, chi poi ha continuato seriamente ha letto, si è formato, ha studiato le regole del verso, ma quello va già oltre l’indispensabile. Non tutti saranno il nuovo Montale, o il nuovo Sereni, perché per quello occorre qualcosa di più, che va oltre la semplice passione ma, così come succede per altre forme d’arte (l’ascolto della musica classica ad esempio), è più facile che ad appassionarsi alla poesia sia qualcuno che la frequenta con amore giorno per giorno, portandosela appresso e coccolandola, che non chi la sente estranea e del tutto ininfluente alle incombenze quotidiane.
Casomai, poi, andrebbero coltivati i poeti, cercando di creare degli incontri, continui, fra chi scrive e chi ha scritto, ricordando che i poeti di qualsiasi epoca o nazione o lingua sono tutti fratelli, e devono solo ritrovarsi per pochi minuti per scoprirlo. Ma quella è già un’altra storia. Una storia che non si accorda per nulla coi tempi che viviamo.
Ed è strano, ci riflettevo stamattina, come ormai si legga dovunque che la vera poesia (quale che sia la vera poesia) abbia ormai un piede nella fossa. Eppure, allo stesso tempo, in molti si lamentano scocciati, e con un atteggiamento che sinceramente trovo non poco snob, che c’è più gente che scrive poesie (spesso brutte), di quante ne legga. Oddio, per certi versi è vero: chi scrive brutte poesie toglie spazio necessario agli altri. E il mercato della poesia, che sforna centinaia di libri al giorno, arricchendosi dei sogni di tanti poveri malcapitati, ha lo stesso e di continuo i conti in rosso, perché strozza il mercato e non mette in evidenza nessuno. Insomma, come ho letto la settimana scorsa (credo) sullo speciale domenicale del Sole24Ore, la prima colpevole se la poesia non funziona oggi, è proprio la poesia. Che ci prova ma non riesce a rinnovarsi e ad adattarsi ai tempi che vive.
Questo però non significa che la poesia sia finita. Tutt’altro mi pare. Io vedo tutta questa gente che riempie i suoi diari segreti o i muri alla stazione o i tovagliolini dei bar, se preferite quel tipo di romanticherie, e sono felice, davvero. Anche se poi quel che scrive sono cazzate, e se quelle cazzate non intaccheranno minimamente, per loro stessa natura, il mercato editoriale.
Il fatto che la gente, molta gente, tantissima, senta il bisogno di mettersi e scrivere in versi i propri sentimenti o stati d’animo, io la vedo una cosa bellissima, e molto molto consolante. Significa che al di là di tutte le lamentele che giornalmente vengono a propinarci, e del fatto che si rimproveri oggi, a tutti, di essere vuoti e spenti e privi di ambizioni e sentimento, c’è ancora chi ci crede nella poesia, chi la sente sua e la vive come un’esigenza primaria, per cui fermarsi ad appuntare dei versi diventa una cosa necessaria, fondamentale, proprio come mangiare e dormire. Magari sarà anche poesia ingenua nella forma ma nello spirito c’è tutta, e cos’altro conta alla fine?
In fondo, se ci pensate bene, abbiamo cominciato tutti così. Con un foglio di carta e una penna e la volontà di parlare col cuore in mano. Soli e nudi e con l’impulso irrefrenabile a dire, a raccontarsi. Certo, chi poi ha continuato seriamente ha letto, si è formato, ha studiato le regole del verso, ma quello va già oltre l’indispensabile. Non tutti saranno il nuovo Montale, o il nuovo Sereni, perché per quello occorre qualcosa di più, che va oltre la semplice passione ma, così come succede per altre forme d’arte (l’ascolto della musica classica ad esempio), è più facile che ad appassionarsi alla poesia sia qualcuno che la frequenta con amore giorno per giorno, portandosela appresso e coccolandola, che non chi la sente estranea e del tutto ininfluente alle incombenze quotidiane.
Casomai, poi, andrebbero coltivati i poeti, cercando di creare degli incontri, continui, fra chi scrive e chi ha scritto, ricordando che i poeti di qualsiasi epoca o nazione o lingua sono tutti fratelli, e devono solo ritrovarsi per pochi minuti per scoprirlo. Ma quella è già un’altra storia. Una storia che non si accorda per nulla coi tempi che viviamo.
12 commenti:
non la scrivo, non sarò in grado di scriverla mai, ma guai a farmi vivere senza poesia e se serve coltivare i poeti vieni qui che ti innaffio i piedi tutti i giorni, ti poto la barba, così cresci rigoglioso e scrivi bene e poi io leggo e a leggere/ti vivo meglio :)
un vero ficus insomma ;)
hai scelto l'esempio giusto come coltivo i ficus io nessuno mai ne ho 3 che sono 3 volte me, non ci stanno più in casa (sottotetto a spiovere) li ho dovuti trasferire nel giro scale :D
mah, antonio, il problema non è che c'è tanta gente a scrivere poesie (che di per sé sarebbe anche cosa buona, anche se quelle poesie sono per la grandissima parte pura monnezza), il problema è che chi dovrebbe essere deputato a selezionare, promuovere, investire, rischiare, non lo fa.
esistono centinaia, forse migliaia di editori di poesia che pubblicano per il 99% porcherie.
mi è capitato di mandare una cosa mia ad un concorso, ultimamente, e di constatare che il vincitore aveva scritto roba che io mi sarei vergognato di aver scritto in seconda media. e che sarà pubblicata in una (sedicente) collana di poesia.
(nella quale, per inciso, avrei potuto pubblicare anch'io, a patto di assumermi l'obbligo di acquistare 200 copie al modico prezzo di 17,50 euri ciascuno, ossia di pagare io quel che avrebbe dovuto pagare l'editore, se fosse stato un editore serio).
aggiungici anche il fatto che la critica latita, o rimane trincerata nel proprio gergo esoterico, o in deprimenti blogghini autoreferenziali.
a questo punto, grazie tante: io scrivo per me, e poi mi legga chi vuole.
insomma, sarò anche veteromarxista, ma il popolo va educato. gli va fatto capire che un conto è la rima cuore/amore scarabocchiata sull'agendina, e che può fare anche tenerezza, un conto è la poesia, che è un affare serio, importante, e che ha molto meno a che fare con i "sentimenti" di quanto normalmente si creda.
errata corrige: "200 copie a 7,50 euri ciascuna"...
totale: 1500 euro e rotti, ossia più o meno il mio stipendio di un mese, che onestamente preferisco investire in modo più produttivo.
come si dice da noi: 'non ti permettere'… :P riferito casomai all'intenzione di lasciar perdere! :)
Ho sempre in mente questa:
"Idea palpabile, parola impalpabile: la poesia va e viene fra ciò che è e ciò che non è. Tesse riflessi e li dipana. La poesia semina occhi nella pagina, semina parole negli occhi. Gli occhi parlano, le parole guardano, gli sguardi pensano. Ascoltare i pensieri, vedere ciò che diciamo, toccare il corpo dell'idea. Gli occhi si chiudono, le parole si aprono". (Octavio Paz) paz… come noi. :)
"Ascoltare i pensieri, vedere ciò che diciamo, toccare il corpo dell'idea".
Ecco, per me questa è una definizione perfetta della poesia. Altro che sfoghi e sentimenti...
ma no sergio, quello che dici è giustissimo e sono d'accordo con te.
ma io non intendevo quello. quello che dico è riferito a un certo luogo comune che molta critica ha fatto proprio, e che sento quotidianamente intorno a me: ed è che la poesia se la praticano in pochi perché pochi sono i veri poeti e tutti gli altri dei poveri stronzi ignoranti, vuoti, vanitosi e incolti. e io non sono d’accordo per nulla. io penso che l’attitudine alla poesia sia innata e in tutti e che le caste intellettuali certa gente se le può infilare dove sai.
e quando dico che i poeti vanno coltivati intendo proprio a livello di conoscenza. intendo dire che se non porti la poesia per strada, se non ci scendi tu giù in strada e trovi un linguaggio comune con cui nutrire la sete innata di poesia di ognuno, la poesia rimarrà confinata nei salotti, dove non serve a niente e a nessuno. le prime forme di poesia erano forme di poesia popolare, erano vive e imperfette e piene di volgarità e risate o dolore, ma coinvolgevano il sentimento comune.
se oggi leggo zanzotto o sanguineti ai miei genitori non solo non ci capiscono nulla, ma li faccio sentire ignoranti. e con questo non voglio dire che sanguineti non vada letto. voglio solo dire che sanguineti va spiegato, che va trovato fra i suoi versi quell’elemento vitale che ha in comune con mio padre, che ha fatto l’operaio tutta la vita e crede che la poesia non gli serva a nulla per arrivare a fine mese.
i poeti che vedo intorno a me oggi sono dei poveri relitti che se la tirano con la storia della bella poesia incompresa dalla massa, e quello di cui mi sono rotto è questo atteggiamento generale per cui diciamo tutti che “la gente ha bisogno di educazione alla poesia” ma ci si aspetta sempre che a farla siano gli altri (gli altri chi?) oppure che si educhi da sola. così come odio quelli per cui “tu non puoi capire la poesia perché non ne sai nulla” e se la tengono nel cassetto. posizione a cui qualcun altro risponderà “poesia, madonna, sai che palle!” e non se ne esce più da questo giro…
ah sì, scusa cmq sergio... mi son lasciato andare alla passione per l'agomento e forse ho un pò esagerato... in fondo siamo tutti d'accordo, mi pare, sulle cose essenziali...
è che quando mi dicono, come è successo, "ma che lo fai a fare" mi girano sempre le palle, è come dire che per qualcuno la tua vita non ha senso perchè qualcun altro non può venderla all'etto, come il prosciutto... è antipatico...
l'anno prossimo avrò, probabilmente, tre classi di seconda liceo, e dovrò affrontare la poesia. ti saprò dire...
quest'anno, intanto, leggeremo l'iliade e l'odissea. è già un inizio.
comunque, pensavo: quand'è che la poesia ha divorziato con il pubblico?
voglio dire: forse non un operaio, ma qualunque persona di media cultura conosce dante, ariosto, tasso, foscolo, leopardi...
diciamo che fino a ungaretti, montale (o almeno un certo montale), quasimodo, saba, ci si arriva. e poi? perché, per esempio, non si conoscono bertolucci, penna, sereni, fortini, giù giù fino a bellezza, magrelli...? insomma, non dico gli avanguardisti o gli sperimentali, sanguineti o zanzotto, ma neanche poeti che sarebbero, volendo, ampiamente comprensibili.
che cos'è successo, e quando, e soprattutto perché?
io continuo a pensare che molta colpa ce l'abbia il sistema scolastico. se i programmi scolastici si interropono a inizio '900, magari saprai qualcosa di foscolo ma è difficile che tu possa relamente comprendere il senso della poesia del dopoguerra, così come, ancora più grave, di tutta ciò che è successo storicamente e socialmente fino ad arrivare (e portarci) ai giorni nostri. e in questo, ti dico, hai pienamente ragione, la nostra classe politica è stata ed è molto colpevole, seriamente colpevole, non ha scuse, non è perdonabile: noi siamo un popolo debole anche per questa mancanza di storia, storia che ci è stata negata... poi il fatto che negli ultimi venti trent'anni il livello culturale si sia ancora più abbassato, e sfilacciato, che non ci siano più letture né spazio pubblico ai poeti, che la televisione coi suoi programmi orrendi abbia letteralmente preso il posto di "tutto", ha dato il colpo di grazia a un intero mondo e a un modo diverso di pensare la vita...
io ho molta fiducia in insegnanti come te, sergio, e ti dico, io stesso non sarei qui se molti anni fa la mia insegnante di seconda media non fosse entrata in classe un giorno e, fregandosene di qualsiasi programma, ci abbia detto "adesso parliamo di poesia"... non le sarò mai abbastanza grato :)
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