Hanno riaperto la casa di Mario. Passando stasera sotto il suo balcone, ho visto le persiane aperte ed un bambino ed una voce, da dentro, in un bell’albanese squillante lo richiamava per la cena.
Mario se ne è andato chissà dove un bel mattino di due anni fa, e di lui non si è saputo più nulla se non per un cartello affisso sulla porta per mesi, sotto il battente antico, con su scritto “vendesi”. Di lui non restavano che i muri della casa ed ora le risate di un bambino che della sua vita nulla sa, se non per la curiosità suscitata forse da qualche scatolone dimenticato in soffitta.
Era così tanto che la vedevo chiusa quella porta che mi era quasi parso di perdere anch’io ogni ricordo, andato con la vista dello scorcio di muro che dal basso notavo attraverso le persiane, quando passavo per strada e notavo l’angolo di volta dalla finestra e il lampadario acceso oppure le scale, se la porta era aperta sulla strada, come ogni volta che rientrando dal mercato Mario portava su la spesa in più viaggi.
Certo è strano sentire tanta nostalgia per una casa in cui in fondo non sono mai entrato, ma è che a volte la vita si dipana pure in questi particolari fuggevoli, a volte irrisori, che nulla cambiano del destino di un uomo, appena un briciolo di prospettiva. Io di Mario sapevo così poco, se non per le sue storie d’infanzia o per i racconti commossi che ci faceva dei suoi genitori, vittime coraggiose del fascismo, e soprattutto della madre, che in quella casa ci è morta.
Sapere che dopo tanto dolore la vita continua e si dimentica di noi, del dolore sedimentato sui muri, con un po’ d’acqua e candeggina, un po’ mi terrorizza e un poco mi conforta, in parti uguali.
Mario se ne è andato chissà dove un bel mattino di due anni fa, e di lui non si è saputo più nulla se non per un cartello affisso sulla porta per mesi, sotto il battente antico, con su scritto “vendesi”. Di lui non restavano che i muri della casa ed ora le risate di un bambino che della sua vita nulla sa, se non per la curiosità suscitata forse da qualche scatolone dimenticato in soffitta.
Era così tanto che la vedevo chiusa quella porta che mi era quasi parso di perdere anch’io ogni ricordo, andato con la vista dello scorcio di muro che dal basso notavo attraverso le persiane, quando passavo per strada e notavo l’angolo di volta dalla finestra e il lampadario acceso oppure le scale, se la porta era aperta sulla strada, come ogni volta che rientrando dal mercato Mario portava su la spesa in più viaggi.
Certo è strano sentire tanta nostalgia per una casa in cui in fondo non sono mai entrato, ma è che a volte la vita si dipana pure in questi particolari fuggevoli, a volte irrisori, che nulla cambiano del destino di un uomo, appena un briciolo di prospettiva. Io di Mario sapevo così poco, se non per le sue storie d’infanzia o per i racconti commossi che ci faceva dei suoi genitori, vittime coraggiose del fascismo, e soprattutto della madre, che in quella casa ci è morta.
Sapere che dopo tanto dolore la vita continua e si dimentica di noi, del dolore sedimentato sui muri, con un po’ d’acqua e candeggina, un po’ mi terrorizza e un poco mi conforta, in parti uguali.
1 commento:
di fronte a casa mia c'era una bella casa della fine dell'800,che era sopravvissuta alle bombe, vivendo vicino alla stazione i bombardamenti furono feroci, la nostra casa fu spazzata via, sul tetto c'era un enorme terrazzo dove le famiglie stendevano i panni e ricordo un bimbo con una bici rossa che correva lassù. Poi la casa cadde in abbandono e per molti anni fu desolatamente vuota. Ci fu un restauro e tornarono ad abitarla. 3 anni fa per la nuova viabilità fu abbattuta, un pezzo della mia vita butta giù a colpi di benne è stato un dolore
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