Nell’ultimo mese mi è stato rimproverato per ben due volte che ho la cattiva abitudine di non partecipare quasi mai ad eventi e attività culturali organizzate da altri, snobbando così, spesso e volentieri, anche quelle dei miei amici. Colto in castagna, ammetto che è vero, partecipo poco, ma a mia difesa va detto che fosse per me e per il mio grado di misantropia non parteciperei manco ai miei stessi eventi. Infatti, come ben sanno i miei amici che si disperano per me, pur non disdegnando i rapporti umani, non ho quasi alcuna vita sociale al di là del lavoro, difendo la mia vita privata coi denti, e se fosse nelle mie possibilità economiche me ne resterei chiuso in casa la maggior parte tempo proprio come facevano Salinger e Melville.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
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venerdì 20 ottobre 2017
giovedì 15 giugno 2017
sciatteria
Premessa: all’inizio non volevo mettermici, ma dopo aver letto il pezzo di Gramellini, che non amo troppo, dico la mia sull’argomento. Cosa è successo: è venuto fuori nelle ultime ore che alcuni passaggi citati nel discorso per il Nobel di Dylan siano presi da un bignami e non dai libri originali. Ovviamente non se n’è accorto nessuno, almeno finché un giornale non ha fatto una ricerca e allora si è sollevata la pietra dello scandalo. Quello che è sfuggito a molti, anche perché non credo lo abbiano letto, è che nel suo discorso Dylan non dice: Ho letto Moby Dick e mi è piaciuto un sacco. Dice che molti dei temi che affronta nelle sue canzoni discendono o hanno cose in comune con gli archetipi che si ritrovano in alcuni grandi classici come Moby Dick o l’Odissea che ha letto da bambino e che gli sono rimasti dentro tanto quanto le canzoni di Buddy Holly o di Leadbelly. Così, e chi ascolta Dylan lo sa, quando nel discorso descrive la fine di Achab, con le acque del mare che si richiudono sopra di lui, Dylan sta ancora parlando di House Carpenter, antica ballata anglosassone da cui discende la sua Man in the Long Black Coat del 1989. Di quei classici, di cui ripete due volte gli interessano i temi, gli archetipi, e mai una volta si ferma a parlare di come sono scritti, cita alcuni passaggi utili alla sua esposizione, riprendendoli probabilmente dal bignami – così come io li prenderei da Internet se dovessi scrivere un pezzo letterario senza volermi impelagare nella ricerca bibliografica – ma con la colpa, più o meno grave, di non aver poi controllato le fonti. È sciatteria, è vero, proprio come dice Gramellini. La stessa sciatteria che ha caratterizzato molta della sua opera, ed è una sciatteria, aggiungo, molto "americana". Ma è, aggiungo ancora all’indirizzo di Gramellini (ed è il motivo per cui scrivo questo post), la stessa sciatteria nei confronti delle fonti che ormai caratterizza tanta stampa italiana, e non solo, con maggiori colpe etiche e ben altre conseguenze sulla vita delle persone.
giovedì 3 marzo 2011
da un racconto di herman melville
È ormai da sette anni che non mi sono più mosso di casa. I miei amici di città si meravigliano tutti, perché non vado più a far loro visita come un tempo. Pensano che io stia diventando acido e asociale. Certi dicono che sono ormai una specie di vecchio misantropo ammuffito, mentre, in ogni caso, la verità è che sto semplicemente a guardia del mio vecchio e ammuffito camino. Perché è stato deciso insieme, da me a dal mio camino, che io e il mio camino non ci arrenderemo mai.
mercoledì 2 marzo 2011
melville
Ecco che avvolto come da confortevole bara
in una coperta di lana ascolto
la tempesta là fuori - senza ritorno - e il cicaleccio
degli altri di sopra. Non vedo a due metri
oltre quel muro che destino mi aspetti
ma non strepito più come un ragazzo di malumore.
Annoto nel mio diario di bordo le uniche
lezioni degne d’essere ricordate e mai nuove
che la vita a volte va vista con gli occhi
del tempo - e che i grandi non mollano
scrivono. La notte mi sovrasta senza stelle
che passino quel vetro macchiato di salsedine
e sono grato persino del mio sonno senza amici
senza più il calore di un camino
senza alcuna luce che mi guidi in mare aperto
come se il mio passo fosse già segnato e procedesse fiero
lento ed implacabile ad afferrare il suo premio.
in una coperta di lana ascolto
la tempesta là fuori - senza ritorno - e il cicaleccio
degli altri di sopra. Non vedo a due metri
oltre quel muro che destino mi aspetti
ma non strepito più come un ragazzo di malumore.
Annoto nel mio diario di bordo le uniche
lezioni degne d’essere ricordate e mai nuove
che la vita a volte va vista con gli occhi
del tempo - e che i grandi non mollano
scrivono. La notte mi sovrasta senza stelle
che passino quel vetro macchiato di salsedine
e sono grato persino del mio sonno senza amici
senza più il calore di un camino
senza alcuna luce che mi guidi in mare aperto
come se il mio passo fosse già segnato e procedesse fiero
lento ed implacabile ad afferrare il suo premio.
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