La più bella storia d’amore che ho letto da molti anni a questa parte è
un raccontino breve contenuto nel volume Amore del giapponese Inoue
Yasushi (Adelphi 2006). Parla di una coppietta mediocre, due avari che,
dopo una vincita alla lotteria, provano a recuperare il viaggio di nozze
mai fatto. Il tentativo di riscatto sociale – di cui il viaggio in un
lussuoso albergo sul mare costituirebbe l’apice da rivendicare a vicini e
famigliari che sparlano di loro – fallisce miseramente quando viene a
scontrarsi con le loro nature: il dispiacere di dissipare
quell’insperata fortuna in una notte in albergo li mette in un tale
stato di disagio da costringerli a ritornate indietro, appena arrivati,
per passare l’anniversario di matrimonio chiusi in casa, nascosti dai
vicini ma appagati dall’avere conservata quasi intatta la cifra vinta.
Eppure, con una leggerezza meravigliosa, il rapporto dei due piccoli
sposi viene rinsaldato proprio dalla loro complicità che prende forma
nei gesti colloquiali del loro pranzo frugale e nello stupore che li
prende una volta arrivati di fronte al mare. Le due anime non fanno che
vagare, quasi svuotate, di pagina in pagina spinti da un vento gelido
che ora li separa ora li riunisce, così simili ai danteschi Paolo e
Francesca. Come tutte le figure nate dalla penna di Yasushi sono
creature pre-infernali, in cui le colpe sono connaturate a tal punto da
trascinarli inesorabilmente e senza possibilità di riscatto – e senza
reale afflizione – verso il baratro della loro condanna. Fa eccezione,
in questo particolare racconto, il tenero abbraccio finale con cui il
protagonista, ormai conscio del proprio amore, stringe a letto il
corpo gelido di sua moglie, che già prefigura la morte che presto
diventerà.
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