Due pensieri mi assalgono oggi. Il primo è legato all’avere letto la storia di Renzo Montagnani. Finora l’immagine che avevo di lui più era quella di un uomo sicuro e colto, dalle tozze mani di uomo di vita, con tanto di anelli pesanti, le mani di un porco simpatico che palpavano le tette di una qualche bella donna mentre pronunciava un motto di spirito: Montagnani credo abbia palpato le tette di alcune delle donne più belle degli anni ‘80. Era l’immagine di una Italia che viveva senza pudori una sessualità sboccata, volgare, ma per certi versi solare, di sicuro non malata e soffocante com’è quella ugualmente ossessiva e onnipresente degli ultimi anni. Era l’immagine di un paese sempliciotto e cafone ma felicemente grasso, che rimandava i problemi al giorno dopo. La bella Italia di un tempo, come mi dice ancora mio padre con rimpianto. Scopro oggi che non solo Montagnani – che con Banfi e la Fenech è forse la figura più rappresentativa della cultura popolare di quel periodo – era un uomo schivo, un attore infelice, ma che aveva sprecato il suo talento e il suo amore per il teatro in produzioni di bassa lega per fare soldi facili, necessari alle cure del figlio affetto da una grave malattia. Montagnani era infelice e beveva, era un uomo triste e pensava al suicidio. Di fronte alle mani di quell’uomo infelice, simbolo di un’Italia passata, si stagliano – di continuo in questi giorni – le mani di Salvini, altro porco ma in maniera diversa, che non immagini a palpare le tette di una donna – per quanto il gossip provi a incastrarlo con la Isoardi – ma quelle più volgari e gonfie del potere. Lui e tanti come lui, gente all’apparenza senza sesso né istinti, ma ugualmente volgare e piena di mani che palpano il potere senza freni in nome del futuro, che per molti è soltanto il giorno dopo. Ci pensavo oggi, e mi è venuta in mente quella poesia famosissima di Kavafis tradotta da Montale che diceva: stiamo aspettando i barbari, perché quando arriveranno sconvolgeranno con la forza le nostre vite vuote. E credo che, mentre li aspettavamo, non ci siamo accorti che i barbari sono già arrivati, entrando dalla porta di servizio, e hanno preso posto in mezzo a noi, ma senza distruggere nulla, adeguandosi ai nostri gesti fiacchi e untuosi e pronti a sedere con forza sulle macerie della nostra felicità perduta, che forse non c’è mai stata perché, già allora, era posticcia.
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