Non lo nego. Quello appena trascorso è stato un anno infelice sotto molti punti di vista. Eppure dire che in tanta sfortuna non ci sia stato nulla di buono sarebbe ingiusto. Dopotutto nell’ultimo anno ho concluso, tirandolo fuori dalle vene col sangue, il mio libro più bello. Ho cominciato a lavorare in teatro con un regista bravo e importante. Ho scoperto la fotografia, un’arte che mi riempie di felicità ogni volta che punto l’obiettivo. E in fondo ho pure sistemato una serie di problemi sentimentali che mi portavo dietro da troppo tempo. Ora sto meglio. In questo periodo mi muovo molto, sono sempre in giro, mi guardo attorno. Ho dei buoni amici vicino. Bevo un po’ meno ma non ho perso altro pelo (grazie a dio!). Insomma, per dirla come i miei amici buddisti, se cadi cento volte allora ti rialzerai centouno volte.
Per tutto questo mi accorgo che la mia colonna sonora dell’anno appena trascorso l’ha scritta Bob Dylan. Il che, per quel che mi riguarda come fan, è importante perché: primo, non faceva un bel disco dal 2001, perché Modern Times a dispetto di quel che ne dice la critica, è uno dei suoi lavori che mi piace di meno; e secondo, nel 2009 ha sfornato ben due dischi nel giro di pochi mesi, che invece ho amato con uguale spirito, quello che si prova a ritrovare un vecchio amico e tu sei felice non perché abbia qualcosa di nuovo o strabiliante da dirti o darti (come mi è successo di leggere su molti blog) ma perché è lui e parla sempre al tuo cuore e perché avete quel rapporto speciale.
Certo, molti storcono il naso di fronte agli ultimi suoi dischi assolutamente non innovativi. Ma chi se ne frega degli altri? A me Dylan ha dato e continua a dare così tanto che davvero non ha nulla da dimostrarmi. Ma poi perché dovrebbe farlo? In fondo i suoi ultimi album sono belli, semplici, leggeri ma non stupidi, e ti fanno stare bene ad ascoltarli o ti commuovono ma senza mai essere drammatici. Cos’altro si può volere di più da lui? A me pare una persona anziana (quasi 70) che abbia capito cos’è che realmente conta nella vita, senza volerti ossessionare a tutti i costi col pensiero della sua prossima morte. Io nell’ultimo anno li ho messi spesso nel lettore e con grande piacere, ancora più grande se stavo male e chiedevo di poter staccare la spina dai miei problemi almeno mezz’ora. Questo è tutto per me. È questo il tipo di arte che sogno di arrivare a produrre, qualcosa di così semplice e universale che parli a quanta più gente possibile e offra una possibilità di sollievo al dolore, ai dispiaceri e alle sofferenze a cui siamo sottoposti ogni giorno. Ragazzi, magari qui non si parla dei massimi sistemi, ma se questa non è arte allora cos’è? E poi, ve lo immaginate sentire il disco di natale ad agosto? Io credo che si possa fare e ci proverò di sicuro. Fra l’altro non riesco nemmeno a separarli i due album del 2009, per me sono come gemelli, li sento sempre insieme e li considero un po’ i Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza di Dylan. Magari è solo una mia fantasia, ma forse mentre li pensava si è riletto Blake, come ho fatto io, e gli è venuto da sorridere, proprio com’è successo a me. In fondo che ne sappiamo noi? Dylan resta imperscrutabile come la Sfinge. Non sai mai con quale nuova sorpresa o emozione ti stupirà.
E infatti, di soppiatto, per me l’apice di quest’anno da fan è giunto ieri, quando l’ho ascoltato cantare The times they are a-changin’ e non ho potuto fare a meno poi di risentirlo decine di volte. Ecco che Dylan chiude uno dei cerchi della sua lunga opera e zittisce in un solo colpo, come spesso è già accaduto, tutti coloro che lo davano per spacciato, reinterpretando dentro la Casa Bianca e non fuori dai suoi cancelli, a un presidente nero, il suo vecchio inno sui tempi che cambiano e per questo ammoniscono che prima o poi anche l’ultimo potrà essere il primo, e ricordandoci così che un capolavoro non ha età e vive di vita sua al di là dell’artista che gli ha dato forma. E il fatto di essere riuscito a catturarlo e rifarlo suo per quei quattro intensi minuti è la prova che di Dylan abbiamo bisogno al di là di quello che crediamo. Nessun altro avrebbe potuto cantarlo così e ora sappiamo, per l’ennesima volta, che toccava solamente a lui.
7 commenti:
Come ben sai, anche per il 2009 è stato un anno intenso.
E il 2010 ti accoglie senza troppi pesi...
faithful sweetheart.
you are.
love, mod
E hai tolto le lumache!
Grazie :)
E ti dirò: nella tua nuova arte riesci molto bene.
(detto da un incompetente, però)
si vede che fotografare ti dà la felicità.
ciao simona
cool stuff
thanks :)
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