giovedì 13 maggio 2010

due poesie d'amore e di strada di pasolini



Lunedì prossimo sono stato invitato a Bari a un reading contro l’omofobia. Ho passato pertanto le ultime ore a cercare delle poesie interessanti da leggere (oltre alle mie) di alcuni grandi poeti omosessuali. E non potevo non soffermarmi su alcune poesie di Pasolini che, per la sua necessità di farsi essenza stessa della propria arte, è stato uno dei più sinceri nell’affrontare l’argomento.
Quelle che pubblico qui le ho lette ieri notte: mi ricordavo vagamente la prima e sono andato a cercarla, e trovando quella ho ritrovato anche la seconda, meno nota. Devo dire che entrambe mi hanno affascinato più di quanto non credessi: era tanto che non leggevo Pasolini e ritrovarlo così, ancora fresco, diretto, durissimo a volte, fa bene al cuore.
La cosa straordinaria a leggerle una dietro l’altra sta nel fatto che sono state scritte a pochissimi anni di distanza e sono, pur nell’affinità del tema (incontro notturno in auto con ragazzo), diametralmente opposte come stile e, soprattutto, come sentimento.
Entrambe scaturiscono dall’insaziabile bisogno d’amore di Pasolini. La prima, datata 2 settembre 1969, è una lunga e felice poesia in verso libero dedicata a Ninetto Davoli, una vera e propria dichiarazione. La seconda invece, scaturita in seguito alla rottura con Ninetto, è in forma di sonetto e preannuncia la ricerca randagia di piacere che segnerà i suoi ultimi anni di vita. A quel punto Pasolini ha già rinunciato all’idea di una felicità di coppia (peraltro impossibile all’epoca in cui scriveva, se non clandestinamente) e si accontenta di fugaci incontri a pagamento.

Ohi, Ninarieddo, ti ricordi di quel sogno...
di cui abbiamo parlato tante volte...
Io ero in macchina, e partivo solo, col sedile
vuoto accanto a me, e tu mi correvi dietro;
all’altezza dello sportello ancora semiaperto,
correndo ansioso e ostinato, mi gridavi
con un po’ di pianto infantile nella voce:
«A Pa’, mi porti con te? Me lo paghi il viaggio?».
Era il viaggio della vita: e solo in sogno
hai dunque osato scoprirti e chiedermi qualcosa.
Tu sai benissimo che quel sogno fa parte della realtà;
e non è un Ninetto sognato quello che ha detto quelle parole.
Tanto è vero che quando ne parliamo arrossisci.
Ieri sera, a Arezzo, nel silenzio della notte,
mentre il piantone rinchiudeva con la catena il cancello
alle tue spalle, e tu stavi per sparire,
col tuo sorriso, fulmineo e buffo, mi hai detto... «Grazie!».
«Grazie», Ninè? È la prima volta che me lo dici.
E infatti te ne accorgi, e ti correggi, senza perdere la faccia
(cosa in cui sei maestro) scherzando:
«Grazie per il passaggio». Il viaggio che tu volevi
ch’io ti pagassi era, ripeto, il viaggio della vita:
è in quel sogno di tre quattro anni fa che ho deciso
ciò a cui il mio equivoco amore per la libertà era contrario.
Se ora mi ringrazi per il passaggio... Dio mio,
mentre tu sei in gattabuia, prendo con paura
l’aereo per un luogo lontano. Della nostra vita sono insaziabile,
perché una cosa unica al mondo non può essere mai esaurita.

Questa sorta di lettera-poesia a Ninetto non ha dei veri versi, o meglio i sentimenti espressi sono così grandi che il verso non può contenerli, straripano per il bisogno di dire, di esprimere al meglio l’emozione scaturita dall’affetto, dalla loro vita insieme. I pensieri hanno bisogno di spazio, di tempo, si stendono pigri (prosastici) nella notte, a chioccia intorno al ragazzo desiderato, lo abbracciano e gli sussurrano piano all’orecchio tutto l’amore e il bisogno di lui. Pasolini qui è padre e amante, maestro trepidamente innamorato del suo allievo. Gli ultimi due versi in questo caso sono assoluti, non si può fraintenderli.

Erano quasi le due di notte – il vento
scorreva per Piazza dei Cinquecento
come in una chiesa – non c'era nemmeno immondizia,
unica vita in quell'ora – giravano

nei giardinetti gli ultimi due o tre ragazzi,
né romani né burini, in cerca
delle mille lire, ma come senza cazzi –
io parlavo in macchina con uno di loro –

un fascista, poverino, e mi affannavo
a toccargli il cuore disperato.
Tu sei giunto con la tua macchina

e hai suonato; ti era al fianco un orribile
giovane individuo; della roba rubata
pendeva dal finestrino; da dove venivi e dove andavi?

Quando Ninetto, divenuto uomo, lo lascia per sposarsi, Pasolini cade (come testimonia lui stesso nei suoi versi) nella depressione più nera. Alla perdita della persona amata infatti, si affiancano i primi irrimediabili segni della vecchiaia che sopraggiunge. Pasolini comincia a sentire l’alito della propria solitudine, decrepitudine, soffiargli sul collo. Ha paura. Cerca di ingannare il tempo. Comincia la lunga tiritera delle cure per ringiovanire il corpo, si veste con abiti sgargianti, colorati, alla moda. Tenta in parte di rimediare a tale senso di pauroso vuoto andando coi ragazzi di vita. Lo squallore che tale pratica (a cui però non sa rinunciare) gli ispira è ben visibile in una serie di sonetti a tema che compone negli ultimi anni. È il Pasolini più duro questo, quello che utilizza la forma classica, rigorosa della poesia proprio per aumentarne il potere urtante, che disciplina il verso per dare maggiore forza al peso delle parole, alla loro crudezza, un po’ come se affilasse il coltello per affondare meglio nella carne (esemplare la rima ragazzi-cazzi).
In questi ultimi sonetti dell’amore oscuro, così pieni di correzioni a penna da essere quasi illeggibili a volte, l’aria si fa sordida, asfissiante, di uno squallore senza pari. Il poeta ne è conscio e sembra quasi osservarsi con masochistica voluttà, come se godesse a farsi del male. Si sarà detto forse, come prima o poi ci siamo detti tutti alla fine di una storia importante, che ormai la felicità è andata, e tanto vale scendere gli ultimi gradini del dolore fino all’annientamento, perché l’unica cosa che conta è non pensare proprio al dolore. Annullare (invano) il pensiero. Come scrisse Pavese, altro grande maledetto del XX secolo italiano: “Scenderemo nel gorgo muti.”

15 commenti:

Vale ha detto...

Mi piace come parli di poesia.
Non conosco molto Pasolini, devo dire la verità, ma l'ultimo verso me lo fece conoscere un professore al master, gli piaceva la parola gorgo, da matti.
L'anno scorso per puro caso ho letto sul giornale che il grande professore e traduttore è venuto a mancare e ogni volta che penso a Pavese mi viene in mente lui, come ne parlava entusiasta.
Che strano tu abbia scelto proprio questo verso. Le coincidenze.
Baci

giardigno65 ha detto...

ultimamente si parla tanto del pasolini "politico" e poco del poeta.

quanto si perdono ...

ARIS ha detto...

Sei un Grande! Dovresti fare il Professore :)

lil ha detto...

si perdono proprio tanto, antonio, son d'accordo...

vale, grazie dolce ;)

aris, ma grande di stazza, rispetto a te almeno ;)

amanda ha detto...

un po' come Michelangelo che regalava forme pure a ciò che era morto e quindi finito e sbozzava appena ciò che era vivo e vitale ed in divenire.

Mi piace leggere Pasolini attraverso i tuoi occhi ed il tuo cuore

lodolite ha detto...

anch'io penso che quello che mi è piaciuto di più in questo post è il tuo modo di parlare di poesia e leggere le poesie attravverso di te.
ciao simona

lil ha detto...

;)

speriamo che lo apprezzino anche al reading...

premio petrolio ha detto...

in un post hai nominato due autori, tra i miei preferiti! Difficili? no, rari e scuri, come dovrebbero essere gli scrittori, ché non subito, ma riassaporandoli si capisca tutto (o quasi) di loro.

amanda ha detto...

a proposito summer at tiffany mi piace moltissimo... quasi quasi cambio nome al blog :-)

copia incolla ha detto...

anch'io penso che quello che mi è piaciuto di più in questo post è il tuo modo di parlare di poesia e leggere le poesie attravverso di te

lills ha detto...

si sente il mio amore credo per la materia... che poi è quello che manca alla nostra scuola, l'educazione alla poesia... che non solo servirebbe ad incrementarne i lettori, ma servirebbe anche a tanti a imparare a scrivere come si deve, a dare il giusto peso alle parole nell'economia di una pagina, com'è stato per pasolini certo, e forse ancora più per pavese (certe sue pagine sono da manuale, intoccabili, perfette)...

Anonimo ha detto...

..professor lillo...suona bene!

martin

marian. ha detto...

e si ma per fare in modo che il reading abbia successo, gli devi spiegare la poesia come la spieghi in questo post. dopo un pò di reading mi sembra che la loro comprensibilità dipenda non tanto dall'interesse comune verso la materia poetica, quanto dalla possibilità reale di farsi capire. si lo so che sono della categoria "la poesia non si spiega", ma mi rendo conto che una materia tanto bella non può essere compresa se non viene spiegata bene. e tu lo fai bene, prof!

lills ha detto...

ma guarda marian anche io son sempre più convinto che la poesia debba essere "spiegata" perchè venga apprezzata al massimo... o meglio ancora direi che se non si spiega non vola...

mod ha detto...

il gorgo mi sta bene.
ce lo meritiamo.
è il "muti" che mi fa pensare "non se ne parla"(!)

continuo a detestare la poesia.
una delle poche cose che riesce a farmi piangere!

love, mod