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venerdì 20 dicembre 2024

volume

Prima ho visto un video in cui Guccini rispondeva a un’osservazione di Jovanotti secondo cui Gloria di Tozzi è altrettanto bella e può essere messa sullo stesso piano della sua Locomotiva. Guccini diceva che Gloria è bella e piace anche a lui, ma non sono sullo stesso piano perché dietro alcune canzoni di Guccini ci sono dei libri, c’è un livello culturale che dietro Gloria non c’è. Come dire che Gloria è bidimensionale e la Locomotiva è tridimensionale, viste di fronte sono belle uguali, ma se appena ti sposti di lato vedi la differenza che c’è fra le due. E i libri che leggi ti danno la misura dei passi che prenderai per spostarti di lato e capire questa differenza. Ecco, volevo dirlo, questo, ai tanti autori che mi scrivono ammettendo che loro non hanno mai letto i libri degli altri, o magari hanno letto un solo autore e se gliene consiglio altri storcono il naso o si chiudono a riccio come se gli stessi assegnando i compiti per le vacanze. Non è detto che se non leggi tu possa scrivere delle cose brutte, anzi, conosco moltissimi autori che pur non leggendo scrivono bellissime cose, ma è molto probabile che se non leggi nient’altro, ciò che scrivi mancherà di spessore, resterà una bella facciata che dà un’ombra sottile, ed è una cosa di cui ti accorgi, più che sulla singola poesia, sulla raccolta che ne fai, su come metti in connessione i testi, su tutto ciò che magari c’è ma non riesci a mostrare. Io almeno, se mi sposto di lato, mi accorgo sempre quando a una bella poesia manca dietro il volume e ogni volta me ne dispiace.

sabato 9 marzo 2024

vera gloria

Premio Mia Martini 2006. Fra gli ospiti c’è Franco Califano a cui chiedono di recitare uno dei suoi monologhi. Califano all’inizio sembra un po’ imbarazzato, dice che hanno un linguaggio poco “vaticanesco”, però cede e recita il meno spinto, «un monologo sul dubbio di una paternità che si chiama Pasquale l’infermiere». Prima di recitarlo lo introduce così: «ho scritto questi monologhi tantissimi anni fa, e perché io ero “poco” si chiamavano “le storielle di Califano”, e qualche moralista, finto moralista naturalmente, storceva il naso; poi, dopo, con l’aumentare del successo hanno cominciato a chiamarsi “monologhi”; quando sarò scomparso si chiameranno “sonetti”, perché in questo paese muori e sarà vera gloria». E qui, sulla parola “sonetti” ti rendi conto di quanto ci fosse alla base dei “monologhi” di Califano, che sono anche triviali, ma attingono a una tradizione colta e popolare insieme, in primis alle poesie in romanesco di Giuseppe Gioacchino Belli (che insieme al milanese Carlo Porta è stato forse il più grande poeta dell’Ottocento italiano), e sarebbe bello che i suoi tanti ascoltatori non solo lo riconoscessero a Califano, ma lo avessero letto insieme a lui.