Si chiamava Francuccio e gente un po’ più grande e scafata di me mi dice che era ovvio perché i froci si chiamano tutti Franco e lui sapeva fare dei lavori di bocca che manco una puttana ci riusciva! Tanto che, puttana lui stesso, aveva per clienti molti dei nomi altolocati del paese, gente insospettabile, seri professionisti, politici e trafficoni vari con o senza famiglia, che si mormorava fossero stati visti (ma solo per caso, intendiamoci!) entrargli in casa a tarda notte per partecipare a qualcuno dei festini a base di sesso e droga che Francuccio organizzava di tanto in tanto. Persino qualche vecchio comunista ci era andato, di quelli della linea dura che queste cose le hanno sempre schifate, almeno in pubblico. Questo è quello che la maggior parte della gente si ricorda di lui, e poi che morì a metà anni ottanta di una malattia che molti non sapevano pronunciare ma che all’epoca veniva definita il male del secolo.
Io invece mi ricordo, perché Francuccio era il mio vicino di casa quand’ero piccolo, anche se questo non lo sa nessuno di quelli che mi raccontano certe storie, e se lo rivelo subito si zittiscono un po’ a disagio, io mi ricordo che era un amico di mia madre e il pomeriggio presto veniva a prendere il caffè da noi. Papà lavorava fino a tardi e con lei parlavano di cucina e cucito e giardinaggio, era una visita gradita. Ed era divertente, diceva mia madre, perché di questo fatto non spettegolava mai nessuno, mentre se fosse entrato in casa nostra a quell’ora un qualsiasi altro uomo, apriti cielo sul paese!
Viveva in un piccolo trullo, adesso abbandonato, su via Alberobello. Noi stavamo nella casa accanto, che ora non c’è più perché ci hanno costruito sopra un condominio. E fra le due case c’era un piccolo giardino comune dove con mia madre coltivavano le rose e dove noi due giocavamo sempre ai cow-boy e agli indiani. E un anno, per il mio compleanno, mi ricordo che mi comprò il cappello da sceriffo e la stella, ma non la pistola perché non gli piacevano le armi e non voleva, anche se all’epoca non lo capivo e ci restavo male, che le maneggiassi, anche solo per gioco. Non mi ricordo più nulla di lui, né che faccia avesse né la voce o i piccoli gesti, o come si vestisse, o il modo che aveva di esprimersi. Mi ricordo solo che tutti i pomeriggi giocava con me, senza mai annoiarsi. Poi a una certa ora della sera se ne andava sulla sua 500 (o era una 126, non ricordo più bene, tranne che fosse una macchina piccola) e anche se ci rimanevo male e piangevo in qualche modo sapevo, avevo capito, che non l’avrei rivisto fino al giorno dopo, quando mi salutava dalla porta mentre andavo all’asilo.
Ora so che mio padre non aveva molta simpatia per lui, non tanto per i suoi gusti sessuali (cazzi suoi!, appunto) ma soprattutto per come si guadagnava da vivere. Forse un po’ era anche invidia, chissà? Mio padre, che faceva due lavori per mantenerci non riusciva a guadagnare in un mese quello che Francuccio metteva insieme in pochi giorni di marchette. Francuccio però non parlava mai di queste cose con nessuno, era sempre discreto ed elegante e con mamma e me carino e disponibile. E papà metteva da parte le sue critiche perché in fondo lui non c’era mai e una mano fra vicini è sempre utile.
Ricordavo anche che da qualche parte avevamo in casa una foto di noi tre insieme in giardino, vicino alle rose, io mamma e lui, ma quando ho chiesto a mia madre lei non sembrava rammentarla e forse potrei anche essermi sbagliato. Magari quella foto non è mai stata scattata, oppure mi confondo e siamo con papà. Mi resta dunque solo la sensazione di un’ombra, qualcosa a metà fra memoria e sogno, e poi le chiacchiere della gente quando vado in giro a chiedere, che non coincidono mai con l’immagine che ho in testa. Chiacchiere e ricordi non vanno d’accordo ma in fondo può anche essere che nella realtà convivano perfettamente in qualche loro strano equilibrio e sono invece io che, come spesso mi rimproverano, devo aprire gli occhi e farmi furbo.
Io invece mi ricordo, perché Francuccio era il mio vicino di casa quand’ero piccolo, anche se questo non lo sa nessuno di quelli che mi raccontano certe storie, e se lo rivelo subito si zittiscono un po’ a disagio, io mi ricordo che era un amico di mia madre e il pomeriggio presto veniva a prendere il caffè da noi. Papà lavorava fino a tardi e con lei parlavano di cucina e cucito e giardinaggio, era una visita gradita. Ed era divertente, diceva mia madre, perché di questo fatto non spettegolava mai nessuno, mentre se fosse entrato in casa nostra a quell’ora un qualsiasi altro uomo, apriti cielo sul paese!
Viveva in un piccolo trullo, adesso abbandonato, su via Alberobello. Noi stavamo nella casa accanto, che ora non c’è più perché ci hanno costruito sopra un condominio. E fra le due case c’era un piccolo giardino comune dove con mia madre coltivavano le rose e dove noi due giocavamo sempre ai cow-boy e agli indiani. E un anno, per il mio compleanno, mi ricordo che mi comprò il cappello da sceriffo e la stella, ma non la pistola perché non gli piacevano le armi e non voleva, anche se all’epoca non lo capivo e ci restavo male, che le maneggiassi, anche solo per gioco. Non mi ricordo più nulla di lui, né che faccia avesse né la voce o i piccoli gesti, o come si vestisse, o il modo che aveva di esprimersi. Mi ricordo solo che tutti i pomeriggi giocava con me, senza mai annoiarsi. Poi a una certa ora della sera se ne andava sulla sua 500 (o era una 126, non ricordo più bene, tranne che fosse una macchina piccola) e anche se ci rimanevo male e piangevo in qualche modo sapevo, avevo capito, che non l’avrei rivisto fino al giorno dopo, quando mi salutava dalla porta mentre andavo all’asilo.
Ora so che mio padre non aveva molta simpatia per lui, non tanto per i suoi gusti sessuali (cazzi suoi!, appunto) ma soprattutto per come si guadagnava da vivere. Forse un po’ era anche invidia, chissà? Mio padre, che faceva due lavori per mantenerci non riusciva a guadagnare in un mese quello che Francuccio metteva insieme in pochi giorni di marchette. Francuccio però non parlava mai di queste cose con nessuno, era sempre discreto ed elegante e con mamma e me carino e disponibile. E papà metteva da parte le sue critiche perché in fondo lui non c’era mai e una mano fra vicini è sempre utile.
Ricordavo anche che da qualche parte avevamo in casa una foto di noi tre insieme in giardino, vicino alle rose, io mamma e lui, ma quando ho chiesto a mia madre lei non sembrava rammentarla e forse potrei anche essermi sbagliato. Magari quella foto non è mai stata scattata, oppure mi confondo e siamo con papà. Mi resta dunque solo la sensazione di un’ombra, qualcosa a metà fra memoria e sogno, e poi le chiacchiere della gente quando vado in giro a chiedere, che non coincidono mai con l’immagine che ho in testa. Chiacchiere e ricordi non vanno d’accordo ma in fondo può anche essere che nella realtà convivano perfettamente in qualche loro strano equilibrio e sono invece io che, come spesso mi rimproverano, devo aprire gli occhi e farmi furbo.
3 commenti:
Cristo cenava con le prostutite e con i pubblicani, che all'epoca erano guardati peggio delle puttane.
Chissà perché la maggior parte dei cristiani fanno finta di dimenticarselo.
quello che si è e come ci vedono gli altri sembra non coicidano mai.
ciao s.
a volte le persone mi sembrano coincidere solo nelle foto...
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