giovedì 22 marzo 2012

e' binèri (per tonino guerra)

C’è stato un lungo periodo, alcuni anni fa, in cui agli amici proponevo “E se andassimo tutti quanti a Pennabilli?” un nome talmente buffo, improponibile, da suscitare il sorriso in chiunque. Mi ricordava un po’ il primo canto de Il Miele, stupendo poema di Tonino Guerra, in cui si parla di uno zio muratore che parte dal paese per andare in Cina a fare dei lavori alla muraglia cinese e che dalla Cina non torna più indietro. All’inizio mantiene i contatti attraverso le sue lettere piene di racconti meravigliosi di quel nuovo mondo, poi pian piano le lettere si fanno sempre più rade finché dello zio non si sa più niente, sparisce del tutto, dissolto nelle acque delle fantasie stimolate dei suoi nipoti. Ecco, io la vedevo così Pennabilli, come una sorta di Cina in cui Tonino Guerra era andato a rifugiarsi e noi, un po’ come novelli Marco Polo, ci dirigevamo lì alla ricerca dell’imperatore.
Alla fine a Pennabilli, com’è ovvio, non ci siamo andati, eppure Tonino Guerra lì ci stava per davvero. Forse non volevamo rovinare il sogno oppure alla fine ci è mancata soltanto la voglia. Poi anni dopo, quando passò lui di qua in un lungo giro promozionale di un suo libro con Bompiani lo incontrammo per davvero, ascoltammo le sue parole ma di illuminazione in verità non ce ne fu nessuna. Probabilmente eravamo cambiati noi o forse il fatto che alla fine fosse stato lo zio a tornare da noi dalla Cina e non viceversa aveva un po’ sminuito la cosa, le aveva tolto il suo alone magico.
Fatto sta che, comunque, la via ce l’aveva indicata e oramai ce ne andavamo già da un pezzo sulle nostre gambe sulle strade più o meno immaginarie del mondo. Quante poesie ho scritto con l’ombra di Tonino Guerra che gentilmente mi guardava le spalle, quante hanno in sé l’inconfondibile spezia che ho attinto alla sua pianta. Per me, per quel che mi riguarda lui sta seduto nel Pantheon accanto a Montale, Ungaretti e Sereni, l’unico fra loro che riesca a riportare la vita alla vita e la carne alla carne, con semplicità e ironia, talmente vicino alla verità da scordarsi talvolta la bellezza in qualche bar fumoso della vecchia provincia.


Qualcuno, proprio per questo, lo ha definito un neorealista ma ho sempre pensato che la grandezza di Guerra, ciò che rendeva così unica la sua poesia non fosse tanto la sua attenzione al reale, alla sua concretezza, quanto invece la leggerezza e allo stesso tempo la profondità del suo sguardo, che andava più all’essenza delle cose che alla loro forma. Qui da noi, di persone che hanno uno sguardo simile al suo si dice che sono “un po’ filosofi” (ovviamente in dialetto che dà al tutto, sempre, un altro colore). Ma in genere quello sguardo nasce non tanto da chi ama la vita e basta, perché non ci vuole niente a dire, come ho letto, “Tonino Guerra, il poeta che amava la vita”, quasi fosse uno zio simpatico e un po’ strambo; nasce da chi ama la vita perché ha conosciuto bene la morte.
Tonino Guerra ha più volte ricordato che cominciò a comporre poesie quand’era prigioniero nei campi di concentramento nazisti, e questo non va mai dimenticato. Le poesie gli sgorgarono dal cuore in quel suo romagnolo di Sant’Arcangelo non per sperimentazione letteraria o aderenza al neorealismo ma perché lui potesse ancora sentire sulla lingua il sapore della sua terra nelle ore più buie della sua vita, in preda all’ansia e alla paura. Il suo ritorno a casa, allora, fu di certo il più difficile di tutti.
Ricordo ancora il mio primo incontro con lui, attraverso Mimmo, un amico a cui devo (mi accorgo ora) molte delle scoperte più importanti della mia formazione letteraria. Ogni tanto se ne arrivava da noi che scrivevamo poesie con qualche suo libro vissuto, e senza quasi dirci chi fosse l’autore cominciava a leggere con quel sorriso complice di chi ha scoperto qualcosa di davvero eccezionale e vuole condividerlo con te che sei suo amico. Quella sera in particolare ci lesse E’ binèri (dalla raccolta I bu), ovviamente in un dialetto incomprensibile per un pugliese e che poi ho tradotto in italiano per farla completamente mia, perché la sentivo così vicina a me da non poterne fare a meno. Questo è il mio Guerra:

................................E’ BINÈRI

................................Stavólta l’è cla vólta ch’a m’amàz.
................................Furtéuna ta me dè la sierpa ad lèna
................................da mètmi tònda e’ còl próima ad scapè
................................ch’l’è una matóina si du binèri giaz.



................................I BINARI

................................Questa è quella volta che mi ammazzo.
................................Fortuna che m’hai dato la sciarpa di lana
................................da mettermi attorno al collo prima d’uscire
................................ch’è una mattina sui due binari di ghiaccio.



E trovo che morte migliore per lui, creatura autunnale pur in tanta leggerezza, non potesse esserci. Sembra quasi una delle avventure del suo zio perso in Cina: morire il primo giorno di primavera di un anno bisestile in cui la primavera effettiva è arrivata il giorno prima.

(Le opere qui riprodotte sono di Tonino Guerra).

1 commento:

amanda ha detto...

... e per giunta nella giornata mondiale della poesia


com'è lieve e profondo questo tuo ricordo, grazie