giovedì 15 novembre 2012

giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza


“Non sempre giovinezza è verità” scriveva Vittorio Sereni in Stella Variabile, suo ultimo libro, memore della canzone che inneggiava alla guerra, all’azione mossa dall’istinto, dalla volontà di rinnovare. A questa affermazione si può contrapporre l’altra, terribile, di Philiph Roth: “Diventare vecchi è insopportabile e umiliante”, in Everyman.
Cos’è la giovinezza per Roth? Salute, vigore, desiderio. Di che si nutre? Rabbia, onestà, speranza, con una tale forza da negare l’utilità del sapere. Il sapere corrompe. Sapere non serve a vivere. Tutto viene azzerato dai giovani, sul piano delle possibilità, in virtù del loro anelito al godimento. A un vecchio, il cui corpo ormai è corrotto dal tempo, spezzato nella salute, umiliato nel sesso, tutto questo è negato, resta solo ciò che sa, o che sapeva, ciò a cui ha assistito. Un vecchio è un testimone ma, corruttore del mondo a sua volta, non ha nulla da insegnare.
In un suo pezzo su Repubblica, Marco Lodoli esprime riserve sulla possibilità che la cultura umanistica possa ancora offrire qualcosa ai giovani. Ma come si può negare che in una società edonistica com’è la nostra l’Uomo non sia più il centro dell’universo? Certo, si parla ormai di uomo con la minuscola, concetto meno eroico ma più vicino all’individuo, ai suoi bisogni, al suo controllo. Quella che viene meno, semmai, è una cultura della dignità dell’uomo, del poetico, del reale. La fame di poetico è fortissima, oggi come sempre, ma spesso lo si cerca in occasioni che escludono il reale, gli sfuggono con ansia. Perché?
Così, da una parte c’è chi rimprovera ai giovani una gravissima mancanza di attenzione per i problemi sociali, dall’altra li si spinge al disimpegno, connaturato all’idea di giovinezza, e in cui sono comunque colpevoli, perché non comprano abbastanza, deprimono il mercato, l’intera economia mondiale. I giovani sono carne da macello, l’età dell’oro una breve illusione.
Ci pensavo l’altra sera, guardando la registrazione di un vecchio concerto di Neil Young. Neil aveva venticinque anni e presentava dei nuovi pezzi che ora sono storia del rock, uno fra tutti Old Man, spietato confronto fra due generazioni che tanto ricorda Roth, dall’altra parte dello specchio. All’apice del suo talento, nel pieno della sua giovinezza, Neil Young era un artista inarrivabile, grandissimo e, per il principio che nulla è ripetibile neppure il talento, ascoltandolo viene quasi il rimpianto che non sia morto allora, mantenendo per sempre inalterato quel talento e la promessa di eternità e purezza insita nella sua musica.

Articolo uscito su Largo Belllavista n°64, novembre 2012, nella rubrica Senilità. Nella foto Kazuo Ohno in scena.

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