A dispetto delle apparenze o dei referti lasciatici in foto sparse o nei suoi versi, si sa come Montale fosse essenzialmente un pigro ed un pettegolo senza pentimenti, e avesse una bella risata luminosa e sottile, singhiozzante come il canto degli uccelli all’alba. La contraddizione lo pervadeva, fu ostinatamente avverso al Regime e allo stesso tempo di temperamento ironico, pronto alla burla e allo sfottimento più o meno giocoso, altro che il burbero solitario e integerrimo, che molti immaginano.
Anche per quanto riguarda i suoi amori, nonostante abbia raramente toccato la piena felicità, si sa che furono tanti e disparati, che nella sua costante ricerca di un punto fermo a cui aggrapparsi riuscì a disegnare intere costellazioni di percorsi sentimentali capaci di spalancare la comprensione dell’universo, passando con maggiore o minor coinvolgimento da una donna all’altra (Esterina, Gerti, Dora, Paola Nicoli), molte delle quali poi salvate, come schegge, suggestioni, senza un ordine preciso, nel libro Le Occasioni. Si sa che il più grande di questi amori, Irma Brandeis, ebrea fuggita in America durante le persecuzioni naziste, venne trasfigurata ne La Bufera, per il potere immaginifico della poesia, nell’angelo sterminatore Clizia, venuto a far giustizia della Storia, e tanto più grande perché, oltre ad essere spietata, era anche inafferrabile: altro suo nome era infatti Anguilla.
Di questo complesso rapporto ci rimane un carteggio pieno di risvolti dolceamari che svela la vigliaccheria del poeta ad abbandonarsi completamente all’amore, i suoi calcoli e i suoi timori che gli costarono la più grande delusione della sua vita: Irma, che gli chiedeva di lasciare l’Italia e partire con lei in America, di fronte ai tentennamenti di lui, lo lasciò. Lui in Italia aveva già una compagna, Drusilla Tanzi, detta Mosca, che riuscì a legarlo definitivamente a sé minacciando il suicidio. Montale poi dedicò a Drusilla la sua poesia più bella (a mio avviso), Ballata scritta in un clinica, cronaca sottintesa di un amore allo sfascio, e allo stesso tempo trasfigurazione di uno sfascio più grande, storico, cui solo l’affetto pone rimedio. Ma Mosca, con la sua morte, ispirò anche una serie di poesie domestiche splendidamente accorate che aprivano Satura e che poi ispirarono le gelosie di Volpe, Maria Luisa Spaziani, poetessa a lungo amata ma senza speranze (almeno a detta di lei) da Montale.
Lei era Volpe, diceva, non un insettucolo fastidioso come Drusilla, che comprensibilmente mal sopportava. E Montale? Montale, diceva, era tirchio, bugiardo, incapace di tutto (di nuotare, di guidare una macchina, persino di andare in bicicletta o capire la differenza fra una rosa e una violetta) eppure proprio per questo, nel suo genio senza mediazioni, nella sua continua volontà di sapere e nel suo cinico candore di fronte alla vita, splendido.
Così la moglie venne ridotta a uno spettro minuscolo e ronzante, commovente nella sua fragilità e inadeguatezza, mentre l’amante a una sinuosa e affilata predatrice, fiera di sé ma pur sempre una predatrice di pollai. Nulla a che vedere, comunque, con l’angelo nero Clizia o ancora con Arletta (o Annetta), suo primo innocente amore, cui sono dedicate molte delle sue ultime poesie e soprattutto quella posta, per sua stessa volontà, a chiusura della sua opera poetica, Ah!, inno elegiaco alla chiusura del cerchio, alla chiusura di una vita e di una scrittura continuamente in bilico fra cuore e universo.
Gli amori senili di Montale, invece, non hanno vita facile. Quello per Laura Papi, molto più giovane di lui, verrà richiuso dal poeta in manicomio, come per salvarlo attraverso la mediazione della follia, da qualcosa che più non gli competeva se non con un pizzico di commiserazione e ironia, nella suite Dopo una fuga, nelle ultime pagine di Satura. Mentre all’altro per Annalisa Cima verrà affidato, da pubblicare dopo la sua morte, l’ultimo suo libro, Diario Postumo, quasi che, traghettata attraverso le correnti del tempo, anche la sua poesia potesse per forza d’amore sopravvivergli.
Anche per quanto riguarda i suoi amori, nonostante abbia raramente toccato la piena felicità, si sa che furono tanti e disparati, che nella sua costante ricerca di un punto fermo a cui aggrapparsi riuscì a disegnare intere costellazioni di percorsi sentimentali capaci di spalancare la comprensione dell’universo, passando con maggiore o minor coinvolgimento da una donna all’altra (Esterina, Gerti, Dora, Paola Nicoli), molte delle quali poi salvate, come schegge, suggestioni, senza un ordine preciso, nel libro Le Occasioni. Si sa che il più grande di questi amori, Irma Brandeis, ebrea fuggita in America durante le persecuzioni naziste, venne trasfigurata ne La Bufera, per il potere immaginifico della poesia, nell’angelo sterminatore Clizia, venuto a far giustizia della Storia, e tanto più grande perché, oltre ad essere spietata, era anche inafferrabile: altro suo nome era infatti Anguilla.
Di questo complesso rapporto ci rimane un carteggio pieno di risvolti dolceamari che svela la vigliaccheria del poeta ad abbandonarsi completamente all’amore, i suoi calcoli e i suoi timori che gli costarono la più grande delusione della sua vita: Irma, che gli chiedeva di lasciare l’Italia e partire con lei in America, di fronte ai tentennamenti di lui, lo lasciò. Lui in Italia aveva già una compagna, Drusilla Tanzi, detta Mosca, che riuscì a legarlo definitivamente a sé minacciando il suicidio. Montale poi dedicò a Drusilla la sua poesia più bella (a mio avviso), Ballata scritta in un clinica, cronaca sottintesa di un amore allo sfascio, e allo stesso tempo trasfigurazione di uno sfascio più grande, storico, cui solo l’affetto pone rimedio. Ma Mosca, con la sua morte, ispirò anche una serie di poesie domestiche splendidamente accorate che aprivano Satura e che poi ispirarono le gelosie di Volpe, Maria Luisa Spaziani, poetessa a lungo amata ma senza speranze (almeno a detta di lei) da Montale.
Lei era Volpe, diceva, non un insettucolo fastidioso come Drusilla, che comprensibilmente mal sopportava. E Montale? Montale, diceva, era tirchio, bugiardo, incapace di tutto (di nuotare, di guidare una macchina, persino di andare in bicicletta o capire la differenza fra una rosa e una violetta) eppure proprio per questo, nel suo genio senza mediazioni, nella sua continua volontà di sapere e nel suo cinico candore di fronte alla vita, splendido.
Così la moglie venne ridotta a uno spettro minuscolo e ronzante, commovente nella sua fragilità e inadeguatezza, mentre l’amante a una sinuosa e affilata predatrice, fiera di sé ma pur sempre una predatrice di pollai. Nulla a che vedere, comunque, con l’angelo nero Clizia o ancora con Arletta (o Annetta), suo primo innocente amore, cui sono dedicate molte delle sue ultime poesie e soprattutto quella posta, per sua stessa volontà, a chiusura della sua opera poetica, Ah!, inno elegiaco alla chiusura del cerchio, alla chiusura di una vita e di una scrittura continuamente in bilico fra cuore e universo.
Gli amori senili di Montale, invece, non hanno vita facile. Quello per Laura Papi, molto più giovane di lui, verrà richiuso dal poeta in manicomio, come per salvarlo attraverso la mediazione della follia, da qualcosa che più non gli competeva se non con un pizzico di commiserazione e ironia, nella suite Dopo una fuga, nelle ultime pagine di Satura. Mentre all’altro per Annalisa Cima verrà affidato, da pubblicare dopo la sua morte, l’ultimo suo libro, Diario Postumo, quasi che, traghettata attraverso le correnti del tempo, anche la sua poesia potesse per forza d’amore sopravvivergli.
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