Confesso che gli ultimi libri di Marquez non mi sono mai piaciuti molto, e ho sempre pensato che il suo ultimo libro davvero bello sia stato L’amore ai tempi del colera.
Di Marquez si parlerà sempre come dell’inventore del realismo magico, però devo dire che se dovessi individuare una capacità che aveva come scrittore, era quella di essere un delicatissimo narratore di splendide storie d’amore. Storie in cui il ritorno era sempre possibile, anzi, e l’abbandono necessario a una crescita personale, a una presa di coscienza di sé. In questo Marquez era uno scrittore della speranza, uno dei pochi veri ottimisti del ‘900.
Negli anni ho letto tutte le sue storie, e se dovessi indicare le mie preferite, non sarebbero romanzi ma racconti: La incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata, Morte costante al di là dell’amore, La santa, I funerali della Mamà grande, e poi due racconti lunghi o romanzi brevi di incredibile potenza, Nessuno scrive al colonnello e Cronaca di una morta annunciata. Testi brevi in cui venivano meno certi suoi manierismi che facevano indubbiamente parte del suo linguaggio ma che alla lunga potevano diventare stucchevoli. E poi alcune pagine meravigliose dai suoi romanzi più celebri.
Di tutte queste pagine lette e imparate, divorate a suo tempo, ancora ricordo la commozione che provai, da ragazzino, su una in particolare; commozione che mi portò poi a comprare il resto dei suoi libri e a innamorarmene, quella per il ritorno a casa di Bayardo San Romàn. Pagina
che riporto qui, sperando di condividere ancora, con voi, quel sentimento:
“Un mezzogiorno d’agosto, mentre ricamava con le sue amiche, sentì che qualcuno era arrivato alla porta. Non ebbe bisogno di guardare per sapere chi fosse. “Era grasso e gli cominciavano a cadere i capelli, e ormai gli occorrevano gli occhiali per vedere da vicino” mi disse. “Ma era lui, cazzo, era lui!” Si spaventò, perché sapeva che in quel momento lui la vedeva decaduta come lei vedeva lui, e non credeva che avesse dentro tanto amore quanto ne aveva lei per sopportarlo. Aveva la camicia inzuppata di sudore, come lo aveva visto la prima volta alla fiera, e portava la stessa cinta e le stesse bisacce di cuoio scucito con ornamenti d’argento. Fece un passo avanti e posò le bisacce sulla macchina da cucire.
“Bene” disse, “eccomi qua.”
3 commenti:
e che si deve dire, solo grazie
cominciano per i lettori secoli di solitudine
Ecco un commento del grande Saramago. Ciao.
http://quadernodisaramago.wordpress.com/?s=gabriel
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