Ieri sera ho visto il film documentario Keep on Keepin’ on, dedicato alla figura del mitico Clark Terry e in particolare ai suoi ultimi anni e al suo rapporto di amicizia col giovane pianista Justin Kauflin e col più vecchio Quincy Jones. Confesso che ero molto curioso, ma a mente lucida l’ho trovato un po’ freddo, un film che voleva dire tanto ma non è riuscito a dire abbastanza, soprattutto sulla grandezza umana applicata all'arte di Terry. Tanta gente famosa (la cui fama era misurata in Grammy) che diceva quanto gli dovesse come maestro di vita e d’arte ma poi? poi nulla, non un aneddoto, non uno straccio di storia a dare cuore e sostanza al messaggio. E l’unica testimonianza, appunto, rimane quella forse vera ma un po’ troppo “cinematografica” del passaggio di consegne al giovane Kauflin, che Terry raccomanda a Quincy Jones. Mah. Per questo motivo, gli unici momenti in cui la pellicola (pluripremiata) ha parlato al mio cuore, sono stati quelli in cui lo stesso Terry raccontava come da bambino, povero, si è costruito la sua prima tromba piegando un tubo di latta, e poi gli spezzoni in cui suonava o cantava. Pura magia, a ribadire che il modo migliore per conoscere un artista e la sua vita è ascoltarsi la sua opera col cuore aperto e la mente sgombra dai pregiudizi. Lo stesso Terry lo dice, a un certo punto, nel film (cito a memoria): «Se sei una persona rigida o cattiva il suono del tuo strumento sarà rigido e cattivo anch’esso. Io ho sperato per tutta la vita di essere una buona persona».
2 commenti:
Pensa, non sapevo nemmeno di questo film. Però me lo posso immaginare, conosco questo genere di tribute che piace molto agli Americani: una serie di interviste a persone che raccontano quanto il defunto fosse meraviglioso.
Su Clark Terry ti trascrivo traducendoli questi paragrafi di Gene Lees, da «Cats Of Any Color», Da Capo Press, 1995, p. 189:
«Finite le scuole superiori, Clark si mise in viaggio con Ida Cox [cantante di blues] in uno spettacolo itinerante.(…) dalla Pennsylvania il complesso andò a svernare a Jacksonville, in Florida. Ha raccontato Clark: ‘Avevo fatto amicizia con William Oval Austin, un contrabbassista. Non avevamo i vestiti per quel clicma caldo, allora andammo in un emporio a comprare delle magliette (…)’
Il negozio era gremito e Austin inavvertitamente spinse un'anziana donna bianca che camminava col bastone. Quella si mise a urare: ‘Quel negro ha cercato di buttarmi per terra! Ammazzatelo!' Clark e il suo amico arrivarono alla porta e, appena fuori, si misero a correre. Una folla urlante gli corse dietro. I due musicisti passarono accanto a un cantiere. Per loro fortuna era domenica e non c'era nessuno; entrarono. Clark saltò in una buca, tirando Austin con sé; i due si ricoprirono di fango e di detriti. Sentirono la folla sopra di loro, e alla fine il silenzio. ‘Comunque ce ne restammo sepolti nel fango finché non si fece buio’, ha detto Clark. Poi, circospetti, usdcirono dalla buca e se ne andarono.
Non è che uno di innumerevoli episodi del genere che mi hanno raccontato, tutti variazioni su un tema squallido. Ma questo più di tutti mi è rimasto in mente, ed è uno dei motivi per cui la magnanimità di Clark mi meraviglia. Mi meraviglia che un uomo come Clartk abbia anche solo voglia di parlare con un bianco, figuriamoci non essere razzista. Blark disprezza i razzisti, quelli bianchi e quelli neri».
non ti sei perso nulla. meglio il libro, assai.
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