venerdì 31 luglio 2015

pettegolezzi

Alla fine, giuro, mi importa solo dei pettegolezzi. Han voglia Pavese e Majakovskij ad invitarci a non farne: io li trovo irresistibili. Il condominio, checché ne dica lo straordinario Maestro Sebastiano Vassalli (il più grande tra gli scrittori italiani degli anni Ottanta-Novanta e dei primi tre lustri del Duemila) è un calderone di storie grandiosamente minime. Storie che fanno a braccio di ferro con la Storia o che – servilmente – la assecondano. Cattiverie sublimi, altruismi sorprendenti, meschinità esemplari. Sesso, violenza, invidia, gelosia, denaro: ovvero cibo per la narrazione. Omero raccontava queste cose. Lo sguardo dello scrittore ha da essere asimmetrico, schizofrenico: un occhio guardi la Storia, questa malinconica e tragica vicenda che travolge l’umanità. L’altro occhio spii dal buco della serratura lui, lei ed io tra di voi, la zia smutandata, la sora Lella, il sor Gervasio, monsù Erminio, madamìn Teodora.
Ma anche se non scrivete, anche se non frequentate, neppure da lettori, la pagina scritta, fateli, i pettegolezzi. Se no di cosa si vive? Di metafisica? Per l’amor di Dio. Spettegolate, con arte. Perché di arte si tratta: tagliate, cucite. A me certi pettegoli portano in cielo. Oltre le nubi del Caffè Lavazza. Ama il mondo, il pettegolo. Lo adora. Chi, invece, non sa né di questo né di quello e tira via dritto per la strada inseguendo pensieri distanti è peggio di un assassino, di un mostro. Si nutre di se stesso, pratica l’autocannibalismo. La sua è una storia di legno, disumana. Fosse anche la persona più caritatevole finirebbe ugualmente all’inferno. Perché se non ti interessano i fatti degli altri, le loro vite, cosa sei? Un cuore di legno, un Mississippi secco.

[Gianni Priano]