Non si vive più senza sesso, mi dice lei dopo l’incidente che l’ha ridotta così, sbattuta sul divano in shorts col lungo gesso che la immobilizza e un gatto che si affila le unghie all’altezza del ginocchio. Accarezza con lentezza esasperata e provocante una delle stampelle appoggiate al bracciolo e passa – senza successo – a lamentarsi di sé, di noi, come fa quand’è realista, e passo io a trovarla per prepararle qualcosa da mangiare al posto mio, che so un brodino. Attacca a parlare con voce lunga e appuntita, e come ogni volta non mi resta che distrarmi, per non cadere vittima dei suoi piani. E accade, in quel momento, che una scena inattesa si aggrappi alla finestra con un frullo d’ali.
Un pettirosso crolla in picchiata sulla zanzariera e vi si aggrappa, si arrampica con le zampette tremanti in cerca di salvezza, infilando come può le unghie fra le maglie della rete. Sarà l’impressione che mi fa la scena nel ricordo, oppure il suo spasimo illuminato dal primo sole d’estate, ma il suo corpicino mi appare verde elettrico, quasi quello di un canarino dal cui petto sgorghi una macchia ininterrotta di sangue in superficie. Dietro di lui una grossa gazza nera con riflessi bluastri sul capo e sulla punta delle ali, si posa sul parapetto in attesa, da brava cacciatrice, e sollevando la coda molla con gusto un escremento fumante fra le zampe solide. Il pettirosso la nota e con un ultimo slancio disperato spicca il volo e riparte con una traiettoria ad arco sopra la testa della gazza, verso la siepe di sotto.
La gazza, con un balzo compiaciuto, riparte e si lancia giù dal parapetto, lo insegue planando sicura fino al cespuglio della siepe dove s’è infilato, tuffandosi al suo interno mentre lo bracca quasi per gioco. Il cespuglio trema al loro passaggio ed esplode per il volo di altri uccelli nascosti. Decine di volatili, lunghi nemmeno un dito, che punteggiano l’aria come una manciata di semi. E intorno altre gazze ballano sui campi appena falciati che cominciano a scaldarsi per la prima estate.
Non si vive più senza sesso, mi ricordo questo, e il volo che mi ha distratto dal suo discorso. E il tono sempre più sarcastico, e angustiato, e avvelenato, poi rabbioso, della sua voce. Il tentativo, frustrato, di lanciarmi addosso il gatto. Poi il suo grido di guerra mentre mi caccia di casa, e il lancio della sua stampella e il tonfo sulla porta, che si richiude alle mie spalle mentre scappo.
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