Il viburno mi mostra compiaciuto
il mio compagno, ormai autoesiliato
fra i fiori che lo assolvono dal mondo
perché, come il viburno, galleggiano
sul Male e Dio li ha privati dei denti.
«Lo senti l’odore delle iris
che sanno di libri marcescenti?
E come incombe il tulipano che si
scioglie in lacrime di miele
accanto alle camelie? Piange!»
Lo abbiamo da poco intervistato
nel suo angolo privato che soffre
delle lacrime che piange. «Ma per chi
piange, giardiniere?» Il Male lo attanaglia
di tutti gli avvocati della Terra.
Quelli che ritengono imperante
sradicare le rose dal giardino
perché offuscano la vista di un vicino
ricordandogli che il tempo non perdona
nemmeno chi, come lui, è già morto.
La causa è prossima al Giudizio
se di un cespuglio si decreta l’estinzione
e la fine per fuoco con rimborso
di ogni offesa del pudore
per così sfacciata vitalità di un Fiore.
E tu che leggi invano questo scempio
cittadino, nemmeno puoi chiamarlo una
poesia, ma cronaca di Legge che fa inverno
quando offende per capriccio il tempio
soffice di rose del suo giardiniere.
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