[Quell’amicizia] era cominciata coi loro padri, nel 1939: il padre del Vice, ufficiale di stato civile in un piccolo paese siciliano dove il padre del dottor Rieti, ebreo, era casualmente nato. Il signor Rieti era piombato, da Roma, disperato, in quel municipio: a cercare se nel suo atto di nascita ci fosse qualche appiglio a dimostrare che propriamente ebreo non lo si potesse considerare. E poiché non c’era, lo crearono: ufficiale di stato civile, podestà, arciprete, guardie municipali. Tutti fascisti con tessera in tasca e distintivo all’occhiello; e l’arciprete, senza tessera e distintivo, lo era di sentimento. Ma tutti d’accordo che non si dovesse lasciare il signor Rieti, la sua famiglia, i suoi bambini, a quella legge che ne voleva la rovina. E fecero, alla lettera, false le carte: poiché nulla voleva dire per loro che un uomo fosse ebreo, se in pericolo, se disperato. (Che gran paese era stato in queste cose, forse lo era ancora, l’Italia!)
Leonardo Sciascia, Il cavaliere e la morte, Adelphi
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