Ripensavo a ciò che mi ha detto ieri un ragazzo, che le tematiche sociali ormai hanno fatto il loro tempo, annoiano, e che bisognerebbe puntare maggiormente sulla fiction. Per certi versi concorda, per altri si allontana con quanto osservavo stamattina: la diffusione di un video virale realizzato da This is Racism contro la politica discriminatoria della Lega, e il recente successo del film su Stefano Cucchi. In altre parole, non è vero che in Italia il discorso sociale sia superato o non si possa affrontarlo artisticamente, però lo si può affrontare nella sola misura in cui se ne può fare un film. Insomma, forse è vero: per parlarci dei nostri problemi servono meno scrittori e più sceneggiatori, così come avevano già intuito personaggi come Pasolini o Elio Petri nel suo sodalizio con Sciascia. Mi chiedevo perché succede, e la prima risposta che mi è venuta in mente, ma potrei sbagliarmi, è che è un retaggio della cultura della Chiesa in cui siamo cresciuti, quella in cui si allevava il popolo analfabeta alla Parola non attraverso la lettura della messa (che era in latino fino a metà del secolo scorso) ma attraverso gli affreschi nelle chiese, che ricordiamo stanno lì non per fare arredo, ma per istruire attraverso la “messa in scesa” di alcune storie. Mi pare lo stesso concetto, lo stesso tipo di cultura visiva. Lì dove mancano i mezzi o la voglia necessari al lavoro di astrazione che ti può richiedere un testo, lì arriva il cinema, il video, che quel lavoro lo fa a monte, sintetizzando il tutto in poche immagini precise ed emotivamente coinvolgenti: perché, si sa, il tema sociale, per essere uno spettacolo efficace, prima di indignare deve soprattutto commuovere.
Nessun commento:
Posta un commento