Il
nuovo mondo, 1982, di Ettore Scola è il suo secondo film in costume
(dopo Passione d’amore dell’anno rima), il primo di un dittico che fa
un dichiarato omaggio alla storia francese (seguito l’anno dopo da Ballando Ballando che Paolo Conte avrà adorato) e l’ultimo firmato
dallo sceneggiatore Sergio Amidei. Vi si narra il viaggio di una serie
di avventurieri durante gli ultimi giorni della Rivoluzione francese. Il
film è lungo, a volte divaga un po’, ma rimane bellissimo,
intenso e leggero insieme, pur nelle sue imperfezioni. Data la
produzione, il cast è internazionale e assai ispirato, ma su tutti
giganteggia Marcello Mastroianni che fa Giacomo Casanova dopo essere
stato snobbato per la stessa parte da Fellini. Qui va detto che il
Casanova di Mastroianni è una creatura stanca, crepuscolare e
malinconica, di grande fascino umano ed è esattamente tutto ciò che non
voleva Fellini dal proprio Casanova, volutamente vuoto ed esangue,
pre-morto, per cui scelta del più “freddo” e “meccanico” Donald
Sutherland. Ma il personaggio più curioso rimane quello del cantastorie
che apre la storia con un siparietto teatrale, interpretato da Enzo
Jannacci (lo straordinario Jannacci di fine anni 70 - primi anni 80) che
vestito da arlecchino e si inventa una lingua tutta sua nella migliore
tradizione di Dario Fo. Ecco, Jannacci in effetti non c'entra veramente
nulla col resto del film, ci sta solo per il gusto di starci, e anche di
questo “capriccio” dobbiamo ringraziare Ettore Scola.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
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giovedì 6 aprile 2023
martedì 9 agosto 2022
la grande mona
Federico
Fellini, The Great Mouna, schizzo per il Casanova (1975). La Grande
Mona per Fellini è più del sesso di una donna, ha a che fare col mistero
visto con gli occhi dell'infanzia, qualcosa a metà fra la lasciva
gigantessa di Baudelaire e il sacro ventre della balena di Giona. Non a
caso il modello per il suo Casanova non furono le Memorie del celebre
avventuriero (che odiava, "uno stronzone" lo descrisse) ma il Pinocchio
di Collodi. Mistero talmente sfuggente da definire che per un solo film
commissionò dei versi a ben due poeti così diversi come Tonino Guerra e
Andrea Zanzotto che da questo lavoro ricavò (riscoprendo, su
sollecitazione del regista, il fascino tutto materno, sensuale,
femminile, della lingua dialettale) un'opera atipica come Filò, da cui
viene il disegno.
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