Siccome è un po’ che non scrivo a un certo ritmo, ieri per riprenderci la mano mi son dato la sfida di scrivere tre pezzi entro fine giornata. Questo è il risultato. Peace Love & Respect.
1.“BASTA CHE FUNZIONI” RACCONTATO A DANI (E A VOI)
Ierisera ho visto il nuovo film di Woody Allen, intitolato “Basta che funzioni”. È un film di cui mi avevano parlato assai bene e comunque a me di Allen piace quasi tutto. Avrei dovuto andarci con Dani ma Dani ha avuto un contrattempo e così ci sono finito con Martin. Così lo racconto a lei e fra l’altro pago un debito preso con Sciuscia che mi aveva chiesto una recensione.
Dunque di cosa parla il nuovo film di Woody Allen? Beh, in due parole parla di un vecchio cinico, di quelli che più acidi e sarcastici non si può, ma anche talmente fragile da tentare il suicidio, il quale un giorno incontra una ragazza molto più giovane di lui, scappata di casa, la accoglie “per una sola notte” e finisce per sposarla. La storia, com’è logico, non ha futuro e lei lo mollerà per un altro, dopo ovviamente una serie di accadimenti che coinvolgeranno tutta una serie di personaggi che girano intorno a loro, a cominciare dalla madre di lei. Detto così in effetti, scarnificato il tutto degli elementi tipici della commedia, mi rendo conto che può sembrar piuttosto triste. In realtà il soggetto viene trattato in maniera così lieve e antisentimentale da lasciare che la disperazione di fondo dei personaggi non venga mai alla luce, se non a tratti.
Qualcuno, ho letto in alcune recensioni, ha accusato Allen di essere tornato a New York con una sceneggiatura vecchia di trent’anni e di non avere più niente di nuovo da offrirci. Ma è gente che capisce solo di film e niente di uomini, è gente che spesso scorda l’uomo dietro il prodotto cinematografico. Del resto se ha rimesso mano a una sceneggiatura scritta e chiusa nel cassetto nel 1977 un motivo ci sarà. E questo film, pur se con modestia, rappresenta una piccola evoluzione nel percorso umano e artistico di Allen. Un’evoluzione a cui ammetto di non aver mai creduto di poter assistere. Perché forse per la prima volta contro il nero, contro l’oscurità e il pessimismo che comunque caratterizzano la sua visione delle cose, Allen propone la quieta accettazione. È una cosa importante perché, se anche non è la prima volta che, nei suoi film, si parla dell’accettazione come unica forma di resistenza allo scetticismo, è la prima volta che a proporla non è un comprimario come consiglio al personaggio dietro cui si sublima Allen, ma è l’alter ego stesso di Allen a farla sua. Non so se riuscite ad afferrare lo scarto avvenuto in questo passaggio di consegne. È importantissimo, è tutto qui! Non è più Tracy, la ragazzina di Manhattan che dice ad Allen “devi avere fiducia nella gente” perché Allen ha bisogno di sentirselo dire ma non riesce ad ammetterlo in prima persona. È Allen stesso che parla a noi, attraverso il protagonista Larry David, che guarda dritto in camera (proprio come nel finale di Amore e Guerra) e ci dice “questo ho capito, gente, che non si potrà mai raggiungere la piena felicità, l’assoluta serenità ma l’importante è che vada bene, che la felicità funzioni anche solo per quei cinque minuti.” Godere al massimo di ogni istante prezioso, ecco il suo messaggio all’umanità. E so che detto così pare molto elementare ma in fondo la conquista più difficile è proprio quella della semplicità. E una cosa è dire e un’altra è sentire pienamente col cuore. Questa è in fondo una vittoria dell’uomo Allen contro il proprio pessimismo. Per cui forse è vero che non riuscirà più a rinnovarsi formalmente, ma non si può venire a propinarmi che è un film senza niente da dire. Chi lo dice non ha saputo vedere proprio la più semplice delle verità.
A parte questo Larry David è bravo ma ovviamente non è Woody, anche se capisco che Allen si sarebbe potuto trovare a disagio a recitare tutte quelle battute in cui ammette, anche se con molta autoironia, la proprio consapevolezza di essere un genio e poi gli manca la prestanza fisica per sembrare un arrabbiato credibile. (E a proposito mi interrogo sullo shock che proverò quando al prossimo film non sentirò più la sua voce doppiata da Oreste Lionello). Evan Rachel Wood, la coprotagonista, è perfetta ed è anche un gran bel pezzo di ragazza! La regia di Allen è al solito rigorosa e molto essenziale, pulita, i tempi comici perfetti. E se anche il film non è il suo capolavoro, né credo che Allen possa farne un altro dopo Match Point, ma poi perché ci si dovrebbe impegnare? Ha già dato e tanto al cinema! Non ha niente da dimostrare a nessuno e si può vivere anche del semplice piacere di raccontare belle storie, no? Alla fine questo è un film grazioso, fatto bene, non originale certo ma che perlomeno ci offre una briciola di serenità se non proprio di speranza, da parte di uno degli intellettuali più cupi e pessimisti in circolazione. E scusate se è poco.
2.ZIA CECCA LA SPUTATRICE
Zia Cecca (zia Francesca) era la sorella di mio nonno. È morta quattro anni fa, a distanza di un mese da suo marito e appena due dopo mia nonna. In famiglia la chiamavano tutti ‘a mucetazze (la sporcacciona) per la scarsissima attenzione che aveva per qualsiasi forma di igiene. Non aveva peli sulla lingua e mi dicono che da giovane fosse una vera gatta selvatica, una indomabile lottatrice di quelle a cui piacciono le risse per sport. Poi, come sempre succede, tutti i pregi della giovinezza ti si rivoltano contro in tarda età, trasformandosi nei tuoi peggiori difetti. Negli ultimi anni tutti la ritenevano una vecchia pazza. Viveva in un palazzo vicino casa mia, dove si era trasferita da vecchia e i suoi vicini la odiavano perché di notte, se aveva dei motivi di astio contro qualcuno (e ne aveva di continuo dato il suo carattere) andava davanti alla casa del malcapitato di turno, tirava su la gonna e gli pisciava sulla soglia. Insomma l’avete capito, una scassapalle autentica, proprio nella migliore tradizione della mia famiglia. Di lei si dicevano cose strane e folli, tipo che conservasse il pane sotto il letto perché lì rimaneva morbido, ma la cosa che più di tutte incantava me e mio fratello da bambini, era la sua straordinaria abilità di sputatrice. Già sdentata all’epoca della nostra infanzia, faceva per noi sempre questo giochetto: si metteva in bocca un Ferrero Rocher di quelli che le offrivamo nel vassoio, si mangiava tutto il cioccolato intorno ripulendo per bene la nocciola al centro, poi una volta ripulita ci diceva “guardate lì!” puntando il dito verso uno degli Swarovski di mia madre, prendeva la mira e sputava! E la nocciola inevitabilmente colpiva quello che aveva puntato, con grandissimo e malcelato disappunto di mamma. Ci incantava e per quanti sforzi facessimo non siamo mai riusciti a imitarla. Capimmo che sarebbe morta presto il giorno che si trovava a casa nostra per una visita e aveva ripulito per bene il suo bel proiettile con le gengive, e presa la mira all’ultimo momento scosse la testa, tirò un grosso respiro, poi afferrò la mano di mio fratello, ci sputò dentro la nocciola e gli disse: “Tieni, mangiatela tu!” Poi più niente. Morì due settimane dopo. Ieri mentre imboccavo mio nonno all’ora di pranzo, guardando il suo viso smunto che masticava lentamente la pasta, mi è tornata in mente zia Cecca. Per certi versi si assomigliavano molto.
3.A UN FINGITORE NEL PALLONE
Nelle prossime settimane, con la mia associazione, stiamo promuovendo alcuni incontri letterari in Valle d’Itria con alcuni scrittori più o meno famosi. Una sera, per organizzare uno di questi appuntamenti, siamo andati a Bari a sentire un’intervista organizzata da uno di questi scrittori per lanciare il suo nuovo libro, la classica storia ben scritta ma tutto sommato inutile, ma pubblicata da una grossa casa editrice. Durante l’incontro lo scrittore ha più volte rimarcato quanto il suo libro fosse permeato di musica, e in particolar modo della musica di Marvin Gaye, suo idolo e per lui un continuo punto di riferimento. Io da fan di Gaye mi sono gasato per queste dichiarazioni. Per cui dopo l’intervista, quando ci siamo avvicinati per prendere appuntamento, tanto per rompere il ghiaccio gli ho fatto un paio di domande sui suoi dischi preferiti di Gaye e insomma le solite cose che si chiedono in certe circostanze fra fan, e mi sono accorto di aver messo in difficoltà il tipo che continuava a rispondermi “Ah sì! Ah sì!” ma basta. Lui mi stava simpatico per cui ammetto di essermi quasi sentito in colpa, tanto più che i miei soci dopo mi hanno rimproverato di non stare mai zitto quando devo. Finché non ho letto il libro e mi sono accorto che tutta questa influenza di Gaye si riduce ai soliti due-tre pezzi famosi, di quelli che trasmettono sempre di notte in radio, per tener svegli i guidatori un po’ intontiti dalla strada.
Questo mi ha suscitato una reazione di sdegno e vorrei dire che se anche è vero, come diceva Pessoa, che il poeta è un fingitore, è anche vero che ‘sta cosa inculcataci dal sistema scolastico che basta leggere e analizzare (ad esempio) “Meriggiare pallido e assorto…” per aver capito tutto della disperazione di Montale, è una grossa cazzata! Ma miseriaccia siamo uomini, la nostra vita è qualcosa più di un’opera d’arte e un’opera d’arte, per quanto bella, non è che un piccolo momento nella vita e nella ricerca di un uomo. Ok, può piacerti quanto vuoi e magari leggerla ti ha cambiato la vita ed è anche vero che pure conoscendo a memoria tutta la sua opera non potrai mai sapere TUTTO di lui. Ma almeno non avere la presunzione di dire che lo hai capito solo perché un giorno gli è scappato fuori un verso e tu per caso l’hai ascoltato. Ma cazzo leggiti almeno il libro! E lo stesso vale per tutti gli altri. Avrei potuto fare lo stesso esempio per Munch e L’urlo e non sarebbe cambiata una virgola. Così anche per Marvin Gaye.
Così questa canzone (una delle mie preferite) è dedicata a un grande fingitore che secondo me non ha studiato abbastanza il suo pollo. Ha un titolo lunghissimo, quasi uno scioglilingua "When did you stop loving me, when did I stop loving you" e viene da un disco intitolato Here my dear del 1978, il più autobiografico di Gaye. E parla della dolorosa fine del suo matrimonio. Gaye si era innamorato di un’altra donna e questo disco ( i cui diritti sarebbero dovuti servire per pagare gli alimenti alla ex moglie) è un continuo e doloroso interrogarsi dell’uomo e dell’artista Gaye sul perché i sentimenti finiscono o vengono scalzati da altri più forti o mutano fino al punto da diventare irriconoscibili. Buon ascolto.
1.“BASTA CHE FUNZIONI” RACCONTATO A DANI (E A VOI)
Ierisera ho visto il nuovo film di Woody Allen, intitolato “Basta che funzioni”. È un film di cui mi avevano parlato assai bene e comunque a me di Allen piace quasi tutto. Avrei dovuto andarci con Dani ma Dani ha avuto un contrattempo e così ci sono finito con Martin. Così lo racconto a lei e fra l’altro pago un debito preso con Sciuscia che mi aveva chiesto una recensione.
Dunque di cosa parla il nuovo film di Woody Allen? Beh, in due parole parla di un vecchio cinico, di quelli che più acidi e sarcastici non si può, ma anche talmente fragile da tentare il suicidio, il quale un giorno incontra una ragazza molto più giovane di lui, scappata di casa, la accoglie “per una sola notte” e finisce per sposarla. La storia, com’è logico, non ha futuro e lei lo mollerà per un altro, dopo ovviamente una serie di accadimenti che coinvolgeranno tutta una serie di personaggi che girano intorno a loro, a cominciare dalla madre di lei. Detto così in effetti, scarnificato il tutto degli elementi tipici della commedia, mi rendo conto che può sembrar piuttosto triste. In realtà il soggetto viene trattato in maniera così lieve e antisentimentale da lasciare che la disperazione di fondo dei personaggi non venga mai alla luce, se non a tratti.
Qualcuno, ho letto in alcune recensioni, ha accusato Allen di essere tornato a New York con una sceneggiatura vecchia di trent’anni e di non avere più niente di nuovo da offrirci. Ma è gente che capisce solo di film e niente di uomini, è gente che spesso scorda l’uomo dietro il prodotto cinematografico. Del resto se ha rimesso mano a una sceneggiatura scritta e chiusa nel cassetto nel 1977 un motivo ci sarà. E questo film, pur se con modestia, rappresenta una piccola evoluzione nel percorso umano e artistico di Allen. Un’evoluzione a cui ammetto di non aver mai creduto di poter assistere. Perché forse per la prima volta contro il nero, contro l’oscurità e il pessimismo che comunque caratterizzano la sua visione delle cose, Allen propone la quieta accettazione. È una cosa importante perché, se anche non è la prima volta che, nei suoi film, si parla dell’accettazione come unica forma di resistenza allo scetticismo, è la prima volta che a proporla non è un comprimario come consiglio al personaggio dietro cui si sublima Allen, ma è l’alter ego stesso di Allen a farla sua. Non so se riuscite ad afferrare lo scarto avvenuto in questo passaggio di consegne. È importantissimo, è tutto qui! Non è più Tracy, la ragazzina di Manhattan che dice ad Allen “devi avere fiducia nella gente” perché Allen ha bisogno di sentirselo dire ma non riesce ad ammetterlo in prima persona. È Allen stesso che parla a noi, attraverso il protagonista Larry David, che guarda dritto in camera (proprio come nel finale di Amore e Guerra) e ci dice “questo ho capito, gente, che non si potrà mai raggiungere la piena felicità, l’assoluta serenità ma l’importante è che vada bene, che la felicità funzioni anche solo per quei cinque minuti.” Godere al massimo di ogni istante prezioso, ecco il suo messaggio all’umanità. E so che detto così pare molto elementare ma in fondo la conquista più difficile è proprio quella della semplicità. E una cosa è dire e un’altra è sentire pienamente col cuore. Questa è in fondo una vittoria dell’uomo Allen contro il proprio pessimismo. Per cui forse è vero che non riuscirà più a rinnovarsi formalmente, ma non si può venire a propinarmi che è un film senza niente da dire. Chi lo dice non ha saputo vedere proprio la più semplice delle verità.
A parte questo Larry David è bravo ma ovviamente non è Woody, anche se capisco che Allen si sarebbe potuto trovare a disagio a recitare tutte quelle battute in cui ammette, anche se con molta autoironia, la proprio consapevolezza di essere un genio e poi gli manca la prestanza fisica per sembrare un arrabbiato credibile. (E a proposito mi interrogo sullo shock che proverò quando al prossimo film non sentirò più la sua voce doppiata da Oreste Lionello). Evan Rachel Wood, la coprotagonista, è perfetta ed è anche un gran bel pezzo di ragazza! La regia di Allen è al solito rigorosa e molto essenziale, pulita, i tempi comici perfetti. E se anche il film non è il suo capolavoro, né credo che Allen possa farne un altro dopo Match Point, ma poi perché ci si dovrebbe impegnare? Ha già dato e tanto al cinema! Non ha niente da dimostrare a nessuno e si può vivere anche del semplice piacere di raccontare belle storie, no? Alla fine questo è un film grazioso, fatto bene, non originale certo ma che perlomeno ci offre una briciola di serenità se non proprio di speranza, da parte di uno degli intellettuali più cupi e pessimisti in circolazione. E scusate se è poco.
2.ZIA CECCA LA SPUTATRICE
Zia Cecca (zia Francesca) era la sorella di mio nonno. È morta quattro anni fa, a distanza di un mese da suo marito e appena due dopo mia nonna. In famiglia la chiamavano tutti ‘a mucetazze (la sporcacciona) per la scarsissima attenzione che aveva per qualsiasi forma di igiene. Non aveva peli sulla lingua e mi dicono che da giovane fosse una vera gatta selvatica, una indomabile lottatrice di quelle a cui piacciono le risse per sport. Poi, come sempre succede, tutti i pregi della giovinezza ti si rivoltano contro in tarda età, trasformandosi nei tuoi peggiori difetti. Negli ultimi anni tutti la ritenevano una vecchia pazza. Viveva in un palazzo vicino casa mia, dove si era trasferita da vecchia e i suoi vicini la odiavano perché di notte, se aveva dei motivi di astio contro qualcuno (e ne aveva di continuo dato il suo carattere) andava davanti alla casa del malcapitato di turno, tirava su la gonna e gli pisciava sulla soglia. Insomma l’avete capito, una scassapalle autentica, proprio nella migliore tradizione della mia famiglia. Di lei si dicevano cose strane e folli, tipo che conservasse il pane sotto il letto perché lì rimaneva morbido, ma la cosa che più di tutte incantava me e mio fratello da bambini, era la sua straordinaria abilità di sputatrice. Già sdentata all’epoca della nostra infanzia, faceva per noi sempre questo giochetto: si metteva in bocca un Ferrero Rocher di quelli che le offrivamo nel vassoio, si mangiava tutto il cioccolato intorno ripulendo per bene la nocciola al centro, poi una volta ripulita ci diceva “guardate lì!” puntando il dito verso uno degli Swarovski di mia madre, prendeva la mira e sputava! E la nocciola inevitabilmente colpiva quello che aveva puntato, con grandissimo e malcelato disappunto di mamma. Ci incantava e per quanti sforzi facessimo non siamo mai riusciti a imitarla. Capimmo che sarebbe morta presto il giorno che si trovava a casa nostra per una visita e aveva ripulito per bene il suo bel proiettile con le gengive, e presa la mira all’ultimo momento scosse la testa, tirò un grosso respiro, poi afferrò la mano di mio fratello, ci sputò dentro la nocciola e gli disse: “Tieni, mangiatela tu!” Poi più niente. Morì due settimane dopo. Ieri mentre imboccavo mio nonno all’ora di pranzo, guardando il suo viso smunto che masticava lentamente la pasta, mi è tornata in mente zia Cecca. Per certi versi si assomigliavano molto.
3.A UN FINGITORE NEL PALLONE
Nelle prossime settimane, con la mia associazione, stiamo promuovendo alcuni incontri letterari in Valle d’Itria con alcuni scrittori più o meno famosi. Una sera, per organizzare uno di questi appuntamenti, siamo andati a Bari a sentire un’intervista organizzata da uno di questi scrittori per lanciare il suo nuovo libro, la classica storia ben scritta ma tutto sommato inutile, ma pubblicata da una grossa casa editrice. Durante l’incontro lo scrittore ha più volte rimarcato quanto il suo libro fosse permeato di musica, e in particolar modo della musica di Marvin Gaye, suo idolo e per lui un continuo punto di riferimento. Io da fan di Gaye mi sono gasato per queste dichiarazioni. Per cui dopo l’intervista, quando ci siamo avvicinati per prendere appuntamento, tanto per rompere il ghiaccio gli ho fatto un paio di domande sui suoi dischi preferiti di Gaye e insomma le solite cose che si chiedono in certe circostanze fra fan, e mi sono accorto di aver messo in difficoltà il tipo che continuava a rispondermi “Ah sì! Ah sì!” ma basta. Lui mi stava simpatico per cui ammetto di essermi quasi sentito in colpa, tanto più che i miei soci dopo mi hanno rimproverato di non stare mai zitto quando devo. Finché non ho letto il libro e mi sono accorto che tutta questa influenza di Gaye si riduce ai soliti due-tre pezzi famosi, di quelli che trasmettono sempre di notte in radio, per tener svegli i guidatori un po’ intontiti dalla strada.
Questo mi ha suscitato una reazione di sdegno e vorrei dire che se anche è vero, come diceva Pessoa, che il poeta è un fingitore, è anche vero che ‘sta cosa inculcataci dal sistema scolastico che basta leggere e analizzare (ad esempio) “Meriggiare pallido e assorto…” per aver capito tutto della disperazione di Montale, è una grossa cazzata! Ma miseriaccia siamo uomini, la nostra vita è qualcosa più di un’opera d’arte e un’opera d’arte, per quanto bella, non è che un piccolo momento nella vita e nella ricerca di un uomo. Ok, può piacerti quanto vuoi e magari leggerla ti ha cambiato la vita ed è anche vero che pure conoscendo a memoria tutta la sua opera non potrai mai sapere TUTTO di lui. Ma almeno non avere la presunzione di dire che lo hai capito solo perché un giorno gli è scappato fuori un verso e tu per caso l’hai ascoltato. Ma cazzo leggiti almeno il libro! E lo stesso vale per tutti gli altri. Avrei potuto fare lo stesso esempio per Munch e L’urlo e non sarebbe cambiata una virgola. Così anche per Marvin Gaye.
Così questa canzone (una delle mie preferite) è dedicata a un grande fingitore che secondo me non ha studiato abbastanza il suo pollo. Ha un titolo lunghissimo, quasi uno scioglilingua "When did you stop loving me, when did I stop loving you" e viene da un disco intitolato Here my dear del 1978, il più autobiografico di Gaye. E parla della dolorosa fine del suo matrimonio. Gaye si era innamorato di un’altra donna e questo disco ( i cui diritti sarebbero dovuti servire per pagare gli alimenti alla ex moglie) è un continuo e doloroso interrogarsi dell’uomo e dell’artista Gaye sul perché i sentimenti finiscono o vengono scalzati da altri più forti o mutano fino al punto da diventare irriconoscibili. Buon ascolto.
20 commenti:
direi che le sfide ti riescono bene! :-*
grazie :)
NOTE SPARSE
1. Sono almeno 20 anni che sento dire che Allen è finito, non ha più niente da dire, si ripete ecc. ecc., e lui puntualmente ti tira fuori un "Ombre e nebbia", un "La dea dell'amore" o un "Match point".
2. Zia Cecca dev'essere stata un gran personaggio, ma - non so perché - il tuo ritratto mi ha lasciato un retrogusto un po' triste, amaro.
3. Arte, vita... E' una vita che ci penso. A volte mi sembra che l'arte corroda la vita, altre volte che la arricchisca, altre ancora che la sostituisca (non so se in meglio o in peggio). Insomma, non so se i libri siano la parte migliore di un uomo, o i suoi detriti.
4. Marvin Gaye è uno di quelli che da anni penso di approfondire, e non lo faccio mai (insieme a Stevie Wonder, Otis Redding, Sam Cooke, Wilson Pickett, Percy Sledge e altri geni della stessa risma).
5. Ti ho masterizzato Nina Simone e, se ti va, ti ci metto anche un paio di Mingus (ho qui a PG "The black saint", "Blues and roots", "Plays piano" e "Minus presents Mingus: dimmi tu).
PS: "un fingitore nel pallone". ci ho riso per mezz'ora... ;-)
"La storia, com’è logico, non ha futuro e lei lo mollerà per un altro"
affitterò il dvd, rimedierò come è possibile alla mia assenza..
un abbraccio
Dani.
a sergej... in effetti di allen si dice tutto e in contrario di tutto ma in effetti il segreto è fregarsene e lui lo fa bene... per zia cecca forse hai ragione tu, poi non so se è la mia visione delle cose o il fondo di follia e disperazione che un pò ci prende tutti in famiglia... sul punto tre sono abbastanza a momenit anche io perciò non mi esprimo... per nina simone grazissime!!! :) e se posso approfittare anche black saint mi piacerebbe ascoltare e se ne vuoi aggiungere un secondo chi sono io per dirti no? però dimmi tu qual è il più bello fra quelli che dici? blues and roots o plays piano o l'altro?
infine, se permetti, per ricambiare il favore, ti masterizzo io un paio di dischi soul coi controcazzi che sono anche contento! :)
a dani... don't worry, c'è tanto da vedere di allen, c'è da perdersi! ;)
grazie mille per i dischi...
considera che qualche disco di soul e rhythm&blues ce l'ho, anche se non ho mai avuto tempo di ascoltarli per bene:
- di marvin gaye, "what's going on" e un "best of";
- di stevie wonder, "songs in the key of life", "innervisions" e "talking book";
- di otis redding, "otis blue" e "sings soul";
- un po' di roba di ray charles ovvviamente;
...e poi qualcosa dei meters, di sly stone, james brown, blood sweat and tears, chicago (perlopiù raccolte).
(a proposito: e se mi facessi un disco di soul e uno di robert wyatt, di cui conosco solo le cose con i soft machine?)
ok, allora soul e wyatt ;)
(che poi hai anche una discreta collezione di soul, son tutti buoni dischi)
re: mingus.
"plays piano" (1963) è un disco in piano solo che contiene soprattutto standard e composizioni originali, in maggioranza ballad o blues, insomma con atmosfere abbastanza malinconiche e pensose.
su "charles mingus presents charles mingus" (1960) c'è il suo quartetto con eric dolphy e i pezzi sono abbastanza vicini al free jazz, ricordano un po' le cose di ornette coleman con don cherry, anche se in una vena un po' meno estrema, più cerebrale in un certo senso.
"blues & roots" (1959) è inciso con una formazione estesa (10 elementi) ed è esattamente come dice il titolo: se conosci "ah uhm", è un po' in quella vena.
purtroppo non ho qui a pg "oh yeah", che uno dei suoi dischi più intensi e viscerali.
Eh la zia zozza...personaggi che tornano, senza dubbio, tra le righe.
Sará che le grandi case editrici pubblicano un sacco di stronzate?
Ovviamente il nome dello scrittore famoso non si può dire, no?
sergey, play piano suona bene, no? ;)
vale, no, per ora no ;)
sul fatto che le case editrici pubblichino soprattutto stronzate ci scommetto tutto!
aggiudicato
Zia Checca mi ha ricordardato tanto nonna Rosalia (nonna di una mia amica) che per essere gentili come te, anche lei non aveva proprio il pallino dell'igiene..l'aspetto fisico completava il quadro..la chiamavamo nonna Belarda!(quella del fumetto Provolino (!) )
Film - si coglie e' vero un Woody piu' datato ma vale la pena vederlo..grandi risate e personaggi deliziosi...
Ciao
vero.
posso dirlo? ho provato un moto di pietà per il povero scrittore impreparato su Gaye. Ma forse dipende dal fatto che non so manco chi è 'sto Gaye...
marina,en passant
scusa ma la curiosità mi divora: chi era lo scrittore? Scarpa?
sempre marina
scusa ma non posso dirlo per ragioni organizzative dell'associazione (cioè mi fanno fuori se lo dico) ;)
Grazie per aver onorato l'impegno preso, anche se non posso tollerare la mancata marchetta al mio blog in forma di hotlink quando hai scritto il mio nome.
Io sono uno di coloro che ha parlato di un film vecchio di trent'anni, ma - che diamine - come aspetto positivo!
A me ha detto davvero tanto questa pellicola, e, come spieghi, non sarà il suo capolavoro, ma di certo non ha nulla più da dimostrare, quindi ben vengano d'ora in poi interi film solo per dire una cosa, se è una cosa così importante e così ben detta come in questo caso.
E poi, oh, è Allen. Si ride.
ho rimediato, ok? ;)
Ahah, scherzavo :) .
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