Parlare di autunno non è corretto. C’è ancora un sole che picchia e picchia giù duro. Eppure basta un semplice rovescio per far tornare in gola la malinconia, in forma di brutti rospi saltellanti e che mai mi staranno simpatici.
Sarà Paolo, che mi ha chiamato per dirmi che è di nuovo in ospedale e ha deciso, ormai è sicuro, che come esce prende, si licenzia e torna in Jugoslavia, lì dove sono cominciati i suoi problemi, e io non so se essere più contento o triste, perché lì non ha davvero nessuno che gli starà accanto e quindi o la va o la spacca. O fa pace coi suoi demoni oppure si spara un colpo in fronte e la fa finita. E in tutto questo, non sapendo come comportarmi, io non dico nulla. Sto qui e lo guardo partire e comincio a credere che forse è meglio questo che restarsene a galleggiare in una bottiglia tutto triste e infelice com’è. Così non va bene.
Sarà che vado ubriaco io, perché qui vicino a cinquecento metri c’è una cantina che lavora a massimo regime per la vendemmia e dall’alba al tramonto non faccio che respirare aria di mosto. In fondo però tutto va bene. A guardarsi indietro, solo un anno fa stavo molto peggio di adesso. Non dovrei nemmeno lamentarmi. Qualcuno potrebbe anche arrivare a pensare che lo faccio per ottenere in cambio qualcosa, un po’ come i bambini che frignano perseguendo il loro scopo.
Sarà Paolo, che mi ha chiamato per dirmi che è di nuovo in ospedale e ha deciso, ormai è sicuro, che come esce prende, si licenzia e torna in Jugoslavia, lì dove sono cominciati i suoi problemi, e io non so se essere più contento o triste, perché lì non ha davvero nessuno che gli starà accanto e quindi o la va o la spacca. O fa pace coi suoi demoni oppure si spara un colpo in fronte e la fa finita. E in tutto questo, non sapendo come comportarmi, io non dico nulla. Sto qui e lo guardo partire e comincio a credere che forse è meglio questo che restarsene a galleggiare in una bottiglia tutto triste e infelice com’è. Così non va bene.
Sarà che vado ubriaco io, perché qui vicino a cinquecento metri c’è una cantina che lavora a massimo regime per la vendemmia e dall’alba al tramonto non faccio che respirare aria di mosto. In fondo però tutto va bene. A guardarsi indietro, solo un anno fa stavo molto peggio di adesso. Non dovrei nemmeno lamentarmi. Qualcuno potrebbe anche arrivare a pensare che lo faccio per ottenere in cambio qualcosa, un po’ come i bambini che frignano perseguendo il loro scopo.
E infatti, il mio buon amico Martino, che ha fatto? Come ha visto che cominciavo a fare il bambino lunatico e un po’ troppo erratico, ha preso e, per infondermi energia, mi ha regalato l'intera discografia di Bruce Springsteen, che finora avevo sempre snobbato per quella menata che è un po’ troppo “americano”. E devo dire che ci sono cascato di nuovo. Nel senso che, almeno il primo Springsteen (il classico 1975-87, da Born to run a Tunnel of Love, e con una strizzata d’occhio a Lucky Town del ’92) mi piace molto, anzi moltissimo. Come ho fatto a perdermelo per tutto questo tempo non lo so. Bruce Springsteen è un grande, e anche se voi ora mi direte “sai che bella scoperta” io ve lo dico uguale per lanciare questa semplice e fondamentale verità al mondo, e cioè: non è mai troppo tardi. Ci vuole solo un pizzico di fiducia e la musica giusta per darsi la carica.
Ascolto musica ad alto volume in questo autunno malinconico, Neil Young pre-grunge di fine ’80 inizi ’90 e ovviamente il Boss. Con degli amici stiamo anche organizzando un concerto per domani sera: Steve Potts trio. Steve Potts è un sassofonista americano, nato nel 1943, molto nero e molto cazzuto, che ha studiato con Eric Dolphy e, fra i tanti, ha suonato con John Coltrane ed Herbie Hancock, beato lui.
Lavoro senza sosta al giornale. Nelle pause da lavoro sogno una rivista tutta mia che raccolga esclusivamente racconti di viaggio. Qualcosa di molto americano con una grafica elegante e rigorosa, belle foto grandi a mezza pagina e in bianco e nero e i testi a fronte in lingua originale. Ce l’ho tutta in testa e se non le ho dato ancora forma è solo perché mi manca il nome. Io credo molto nei guizzi d’illuminazione per queste cose, nei colpi improvvisi di genio. Perciò aspetto il momento ma ancora non mi è venuto niente di buono.
Altro progetto: scrivere un romanzo. So già che parlerà di un ragazzino che ha la barba bianca, ho in mente l’idea ma sto ancora cercando il modo di svilupparla al meglio. Amanda mi ha detto che già qualcuno ha usato un’idea simile alcuni anni fa per un film con protagonista un bambino coi capelli verdi. Non che questo mi preoccupi troppo. Alla fine non è il tema a fare la differenza fra le storie, ma il modo in cui lo svolgi. È una questione di stile.
Ho un solo problema adesso, ed è il rumore intorno. C’è troppo rumore dove vivo e per scrivere serve silenzio e concentrazione, lo sanno tutti. Devi poter ascoltare le tue idee. Non come qui che è un continuo correre di macchine e vociare e lo scavatore sempre acceso dal cantiere di fronte. Così, se qualcuno vuole fare un atto de mecenatismo puro e disinteressato, può prendere e invitarmi a casa sua per un mesetto circa, il tempo di buttare già la prima bozza (la più dura) e poi gli prometto che gli dedico il mio libro. A me pare uno scambio equo. Cos’altro si può volere di più dalla vita che una dedica su un libro?
15 commenti:
mi metto in coda allora... la dedica, poetica però:))))
ti inviterei volentieri a casa mia, ma ci sono 2 bambini piccoli e il vicino che ha la morosa a casa da una settimana mette james blunt a tutto volume tutto il giorno.
mi sa che non verrebbe fuori un gran che...
un retro stazione con annunci dei treni in partenza e sferagliare dei suddetti treni giuro che alla fine diventa un ritmo di sottofondo che non disturba quindi puoi salire a Padova il primo mese scleri, poi scrivi, cosa non si farebbe per una dedica ;-)
comunque già essere citata in un post è un'emozione
per Paolo se solo partisse in un momento meno buio...
sa di fuga da se stesso più di quanto già non lo sia il suo stato
nella mia casetta da studentessa puoi venire quando vuoi, non voglio dediche, solo cioccolatini per il thè.
hugs.
Dani
Partire con Paolo, e scriverlo in Jugoslavia?
lills..visto che ti rifornisco di musica :), se vuoi puoi andare a vivere a casa mia..il cancello è aperto e la porta non c'è... ma come tu ben sai, c'è un piccolo problema...al momento non è propriamente vivibile...però puoi dormire sotto le quercie magari in tenda (non penso che non ti venga l'ispirazione)
martin
martin, guarda che la prendo in considerazione come idea, però solo se mi fai la cuccia ;)
navarre, ma sai che non ci avevo pensato? quanto costerà un mese in jugoslavia?
che altro ?
un sorriso sincero? :)
avevo scritto una commentone della madonna, bello e modestamente poetico...
fanculo: ti voglio bene, schatzi!
m.
p.s. dì a paolo di non fare lo stronzo. con me funziona.
ok, gliel'ho detto. ;)
Barba bianca e capelli verdi non devono per forza far pensare a una reminiscenza, del resto il mondo è pieno di connessioni, plagi, etc.
La settimana scorsa ho sentito dire che un tizio se n'è andato in Nepal per scrivere la sua nuova silloge...ora tu sei in cerca di un posto silenzioso...guarda da me c'è parecchio silenzio, ma non ho spazio e questa città ti offrirebbe troppe distrazioni...o ispirazioni, fa' te...
un cane 'randagio' non va in cerca di una casa… io la prenderei in seria considerazione la casa di Martin! poi quale posto meglio di una contrada che si chiama 'mancini'? :P
randagio è un complimento :)
la quercia di Martin!
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