Con Girgenti parliamo di sogni, i miei bagnati, i suoi più raffinati, in quest’aria tropicale. Quali sono, quali sono i tuoi, le chiedo e lei di rimando a me. Nessuno parla eppure i nostri sogni sono palpabili. Il suo di un vecchio amore mal guarito, il mio di una terra senza peso, senza più fatica. Sogni impossibili come rimpianti, feroci a volte, con bocche dentellate dal buio. E io, io le chiedo, io forse non ti basto? Non sei il mio tipo, mi risponde ridendo, ma piuttosto uno specchio, una spalla, un compagno di bevute nascosto fra i miei piedi, poco prima del sonno. Mi sei cara, le dico. Anche tu, mi risponde. Ma qui, lo sai, non c’è spazio per altro che tempo, tempo e sogni, bestemmie, e una parola che regga meglio allo sconforto dei tanti amanti che passano senza mai far rumore. Anch’io sono perduto, Girgenti, ma cerco ancora vie d’uscita verso il cielo. E cosa conta più per ritrovare la strada? L’affetto, mia stella, l’affetto, mi canta Girgenti con la sua voce di donna, l’affetto è la cosa più bella. Guardo dal basso, nascosto fra i suoi piedi, la sua fronte ostinata, l’altissima montagna dei suoi sogni, che ronfa e ribolle di fuoco come l’Etna.
2 commenti:
che carattere
una così bella e disperata come Girgenti come fai ad abbracciarla, anche volendo, dopo una chiacchierata simile?
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