Leggo le prime stupefacenti pagine della nuova edizione del Libro di Johnny di Beppe Fenoglio (Einaudi 2015), quelle all’epoca censurate da Livio Garzanti perché ritenute lente, e ne ho conforto. Magari è ingiusto. Fenoglio in vita soffrì come pochi per tanti rifiuti: praticamente ogni suo libro fu sottoposto a un attento processo di revisione editoriale o rifiutato con sufficienza, per poi essere, dopo la morte, osannato come capolavoro. Eppure penso, in maniera forse puerile, che se anche è vero – ed è vero – che l’80% di chi scrive può solo sognare di diventare uno scrittore, ma non lo sarà mai per mancanza di talento o di stile oppure della giusta disciplina, è anche vero che apprendere come La paga del sabato o La malora la prima versione di Primavera di bellezza non furono capiti o abbastanza apprezzati da gente come Vittorini, Garzanti o Citati, al punto che spesso Fenoglio, rassegnato, ricacciava per sempre i manoscritti in un cassetto, offre oggi, a chi scrive, un barlume di coraggio in più e la speranza che forse, per una volta, una sola volta, non è chi scrive a non andar bene per LORO, ma loro, invece, a non andar bene per il libro che, chi scrive, sta sognando.
2 commenti:
Concordo ma questo non sposta di una virgola l'andazzo del rapporto editore-scrittore. Scrivere prevede talento,essere pubblicati compromesso e fortuna. Libertà e onestà intellettuale non sono obblgatoriamente previsti. Fenoglio poi era fuori dal giro ideologico della Resistenza comunque e dovunque, non era un Giorgio Bocca.
dipende sempre da cosa vuoi essere e cosa vuoi diventare...
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