Una volta i miei nonni, se volevano fare un complimento a qualcuno, dicevano: «Jè nu fatiatore», è un lavoratore. Perché per loro, per la loro generazione più che per la mia, il lavoro era la massima espressione dell’uomo, al punto che la parola lavoro è finita nel primo articolo della nostra costituzione: L’Italia è una repubblica fondata sul Lavoro. Non sulla residenza, ma sul lavoro. Proprio per questo io, da cittadino, mi chiedo: ma i tanti neri che si vedono tornare ogni sera verso Laureto dopo aver lavorato non so dove di preciso, che si fanno ogni mattina quella stessa strada verso il paese, a piedi o in bicicletta e che tornano poi col buio, con gli stivali di gomma e i vestiti macchiati di conza, proprio come facevano i nostri nonni settant’anni fa, (e chissà dove lavorano e per il bene di chi si fanno ogni giorno tutti quei chilometri con la paura addosso e le auto che gli corrono accanto), quei neri lì che camminano ogni sera sul bordo non illuminato della strada, se qualcuno li mette sotto io li posso considerare vittime di Stato?
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