QUELLO CHE NON SIAMO (POETI DEL SUD)
Non siamo un gruppo di giovani poeti rampanti all’assalto del mondo. Non abbiamo risposte da darvi ma c’interroghiamo di contino sul loro senso. Veniamo dal Sud, ma non siamo così radicati: siamo emigrati o disperanti del futuro.
«La luce del futuro non cessa un solo istante di ferirci» scriveva Pasolini. Il quale, qui al Sud, ci ha riscritto il suo Vangelo. Noi abbiamo ancora quelle facce? Quelle cadenze dei suoi personaggi? Di certo abbiamo visto gli stessi posti che in quarant’anni sono cambiati poco e sempre male. Ma non crediamo – non tutti – in quel messaggio.
Non abbiamo niente da difendere, fuorché noi stessi. Questo è il nostro progetto.
E pur riconoscendo la grandezza di Bodini, Scotellaro o Pierro, il nostro Sud è superato – o in effetti attraversato su di un ponte, ma non verso un ipotetico Nord vincitore mediatico (come può facilmente supporsi), quanto piuttosto verso un altro mondo di sconfitti, di sopravvissuti, di fratelli. Di uomini, ché poi è l’unica cosa che conta.
In fondo, ci chiediamo, che significa credere nel Sud? Il sud non è, forse, per definizione, sempre un altrove? Difendiamo la nostra vocazione, allora, a perderci.
È vero, ci piacciono i paesini, la vitamara, e quella cosa detta paesanità (o paesologia come l’ha ribattezzata Arminio), ma questo non ci contraddistingue in meglio o in peggio. Più di mezza Europa è provinciale. Usiamo una lingua comune, nazionale. Ma ci piacciono anche lo spagnolo, il russo, l’inglese, l’arabo, il francese, il tedesco, il turco e il giapponese… Ci piace il dialetto – qualcuno anche lo scrive – ne riconosciamo la ricchezza e il valore, ma molti di noi ricorderanno quando, da bambini, i nostri genitori si sforzavano di parlarci in italiano per scongiurarci dalla sua maledizione, d’essere definiti dei cafoni.
Lo so, c’è un inghippo intellettuale, sociale, in quello come nell’odierno atteggiamento di riscoperta a tutti i costi. Ma noi non rinneghiamo niente, non siamo contro nessuno per partito preso. Né rimpiangiamo un passato contadino che non abbiamo avuto. Perciò non schierateci, non attribuiteci definizioni. Noi scriviamo come ci pare.
I tempi stanno cambiando, diceva una famosa canzone. A essere sinceri cambiano di continuo, senza freno. E la luce del futuro talvolta diviene terrorizzante ad affrontarla da soli. Per questo facciamo gruppo, cerchiamo contatti. Per non sentirci troppo soli fra noi e noi.
«E come restiamo?» ci chiese l’altra sera Lino Angiuli, dopo un pomeriggio passato insieme a chiacchierare, a mangiare e respirare fichi d’India.
«Restiamo amici» rispose Mimmo, per tutti.
2007
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