Mi pare che ultimamente si stia usando un po’ troppo a sproposito la parola "femminicidio", che come tutte le parole, se usata troppo, perde di significato. Anche stamattina al Tg annunciano un nuovo caso di femmincidio, ma poi parlano di un uomo – pakistano – che in un raptus ha ucciso la moglie dopo l’ennesimo litigio. Una volta lo avrebbero chiamato dramma della gelosia. Che raccontata così sembra una cosa molto simile al femmicidio, ma per cui invece c’è un termine apposito: “uxoricidio”, assassinio della moglie, che designa tutta un’altra sfera di significati sul piano del contesto (famigliare, sentimentale) e su quello delle conseguenze (giudiziario, per i figli). Non credo che si possano mettere così impunemente sullo stesso piano l’uccisione di una moglie (uxoricidio) e quello di un altro essere umano per motivi discriminatori (femminicidio). A meno che non si supponga già che abbiano la stessa radice culturale. Che cioè l’uomo coinvolto non sia un semplice marito sfiancato da mesi di litigi in casa, o un innamorato terrorizzato dall’idea di venir lasciato, quanto piuttosto il classico patriarca possessivo. Perché supporlo? Perché era un uomo? Basta questo? Perché era pakistano? Allora potrei dire che in questa notizia c’è nascosto un sottile velo di razzismo. È comunque un omicidio ed è una cosa gravissima, ma non togliamo il suo nome alla cosa, perché se togli il nome alle cose poi togli loro anche il significato, fino al punto che non significano più nulla oppure che significano qualcos’altro.
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