Quando Antonio Porta scrive in Yellow che “per essere veramente poeti occorre una intelligenza sovrumana”, è vero che fa un po’ lo sbruffone, però bisogna stare attenti alla parola che usa, a quel “sovrumana” che rimanda chiaramente a Leopardi: allora, ti accorgi, cambia tutto. Non è più un “io poeta sono più intelligente di te”, ma un “io poeta vedo e sento cose che stanno chiuse in quei sovrumani spazi e interminati silenzi”, capacità che qualcuno potrebbe anche definire un sentimento della morte. Una sorta di perspicacia, insomma, al limite della follia, del nulla infinito nascosto dietro ogni cosa, che è sì un po’ un atto da sbruffone, ma anche la dichiarazione di una condanna a tenere sempre gli occhi costantemente fissi su quella visione terrificante.
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