Dopo averci fatto due presentazioni insieme posso dire che uno dei mezzi più efficaci usati da Franco Arminio per conquistare il pubblico, al di là delle sue formidabili doti istrioniche, è il modo in cui rilancia una forma di religiosità di carattere ambientale, più che trascendentale, che in buona parte si esprime attraverso una pantomima derivata da quella in uso nella messa: i canti corali, l’inginocchiarsi quando si legge la poesia per i contadini, sono tutti rituali codificati in quel contesto, ma svestiti dei loro paramenti e attualizzati per la piazza. Lì dove il sacro si ammantava di mistero nell’uso del latino, lingua che il fedele non conosceva ma nel cui suono salmodiante si cullava, adesso lo stesso mistero è offerto al pubblico dai versi delle poesie. Però sta tutto, ancora e sempre, lì. Arminio, con molta disinvoltura, “alleggerisce” queste formule con l’ironia, e dà così modo al suo popolo di abbandonarsi senza vergogna, attraverso la necessità del rituale, al proprio incessante bisogno di sacralità, persino quando tale rituale ricalca formule perfezionate dalla Chiesa, in modo rigorosamente laico e, per certi versi, per chi si oppone a suddetta Chiesa, politicamente corretto.
1 commento:
Ad una sua messa parteciperei volentieri
Posta un commento