Sempre più, a ogni anno che ci vado in varie vesti, il Salone del Libro mi sembra simile a un enorme corpo che si nutre di se stesso. Istituzione del Libro, vive divorando gli stessi editori che il Libro fanno, mungendoli di tutto ciò che hanno (soldi, tempo, energie) in vista del grande sogno: pubblicità per una settimana, contatti, vendite necessarie a tamponare in parte le spese ingenti. Un luogo dove tutto ha un costo, persino l’aria che respiri e dove in realtà i libri sono il pretesto per l’evento e non viceversa, proprio come a Sanremo. Tutto inutilmente, visto che alla fine, per usare la metafora kennediana, la festa generale della cultura camuffa gli ingranaggi economici per cui quello che prende il Salone agli editori è sempre qualcosa in più di quello che ricevono gli editori dal Salone, anche quando negano la cruda realtà parlando della necessità di esserci. Necessità, ovviamente, imposta dal sistema culturale per cui o ci sei o non sei. In quest’ottica è quasi singolare che nel 2019 l’unico editore che sia riuscito a strappare al Salone tutto ciò che il Salone promette senza dare sia l’editore fascista scacciato dal Salone stesso e per questo non fagocitato dalla macchina tritacarne in cui la cultura di rigira beata come un maiale nel fango. Altaforte, scacciato dal tempio della cultura in nome di una purezza che non esiste più da un pezzo, e rigettato attraverso il gossip nel mondo là fuori, ne ricava – in scorno agli altri editori – pubblicità, la sua settimana di gloria mediatica e vendite senza spese, il massimo che dal Salone si possa ottenere non perdendo un briciolo della propria identità politico-culturale che poi è stata la vera pietra dello scandalo. E intanto che si gridava alla vittoria (simbolica) della cultura sul fascismo, a Casal Bruciato una famiglia rom veniva minacciata dalla presenza di Casa Pound, e mentre il sindaco Raggi andava a trovarla (quello sì un gesto forte e deciso), Di Maio dichiarava che vengono prima gli italiani. Dunque esattamente, che vittoria contro il fascismo è stata? A me pare che il Salone, come corpo culturale, ancora una volta abbia rifiutato il confronto in nome della festa dietro cui girano i soldi (anche se mi rendo conto che c’erano troppi interessi in gioco per una tale fermezza). Quando, a mio avviso, avrebbero dovuto semplicemente rileggersi il messaggio insito nella parabola del figlio prodigo: non è scacciando tuo figlio/fratello peccatore che risolvi il problema, ma riaccogliendolo in casa e mettendolo di fronte alle proprie responsabilità famigliari.
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