A pranzo con amici di famiglia, mi chiedono cos’è oggi in Italia – dove la poesia notoriamente non vende e l’editoria di genere è quasi tutta a pagamento – un editore di poesia onesto. Io onestamente rispondo che è uno che, senza realmente guadagnarci, lavora per pagare i libri agli altri. Mi guardano straniti, non capiscono. C’è in questa mia scelta, suggeriscono, una vena autolesionista assai forte, probabile espressione di un qualche trauma infantile. Ma mio padre non ci sta: “Kuss jè cugghjone i mu a colpe jè a megghje?”. Direi che per oggi siamo apposto.
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