Oggi più che mai che dovunque tendo l’orecchio non sento altro che astio e ancora astio, e presunzione, scagliati da tutti contro tutti in una gara a chi ha più ragione sugli altri, persino nel fallimento generale, mi pare che il libro più importante, quello che ancora lascia un interrogativo aperto, imprescindibile e irrisolto sul nostro presente e sul futuro sia La Casa in collina di Pavese, quando nell’ultima pagina Pavese si chiede cosa ne faremo dei morti, a prescindere dalla loro bandiera. Mi sembra la domanda delle domande questa. Ecco che sappiamo perfettamente chi è il nostro nemico, ce lo hanno insegnato come si deve, e il primo che ha un dubbio è nemico egli stesso, ma di cosa faremo del nemico nei fatti, e non solo a parole, una volta che lo avremo abbattuto, nessuno ha la più pallida idea.
2 commenti:
Mi viene a mente un intervento di Claudio Pavone a Fahrenheit su Radio 3 quasi quindici anni fa. Pavone immaginava quello che un partigiano o un repubblichino morti avrebbero detto adesso della storie che avevano vissuto.
Scrissi una e-mail al programma includendo quelle parole finali de "La casa in collina" anche per me fondamentali:
"Io non credo possa finire. Ora ho visto che cos'è guerra, cos'è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi -"E dei caduti che ne facciamo? perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per la loro la guerra è finita."
Sì, una delle cose più profonde scritte in Italia, e credo purtroppo non compresa...
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