Abbiamo cominciato a morire presto in casa, ciascuno a suo modo e coi suoi piccoli segni premonitori ad avvisarci passo passo della fine. Io nelle macchie nel cavo degli occhi che nascondono un retrogusto di caffè e nel pallore a contrasto della pelle, mio padre nella sfera che in gola gli ha catturato la voce costringendolo a rauchi pianti di cagnara. Fa fatica pure a inghiottire, immagina quanto gli costa rimangiarsi le lacrime. Ma piange anche per me, patema doppio, che non avendo né figli né salute né lavoro non ho futuro e nel mio kaputt riassumo il suo dolore alla moviola. Non ci restano che suoni e macchie dunque per esprimerci, nitidi segni, bruschi risvegli richiamati dall'ansia di non farcela coi tempi. Immancabili sensi di colpa. Pianti stretti in gola e macchie che fioriscono nuove intorno agli occhi, o sulle labbra, o sulle braccia, intorno alle vene che emergono dalla carne come tubature portate a secco ora che i muscoli vengono assorbiti dalle ossa e presto non ci sarà più posto nemmeno per mettersi lo scheletro.
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