Esce in questi giorni, per Progedit, un libro firmato da Nicola Fanizza (Araldo di Crollalanza, Un ministro all’ombra del duce) di cui un capitolo è incentrato sull’amicizia fra Gabriele D’Annunzio e Araldo Di Crollalanza, fascista barese della prima ora e poi Ministro del Lavori Pubblici sotto Mussolini, a cui il poeta venne mollato come una patata bollente perché il Ministro ne soddisfacesse ogni capriccio in merito alla costruzione del Vittoriale, comprando così il suo silenzio – certo indignato, ma comunque silenzio – sulla sempre più insoddisfacente e corrotta politica fascista che era nata con l’ideale di cambiare l’Italia con una rivoluzione – rubando molta della sua retorica proprio a D’Annunzio – e si era ritrovata, una volta al potere, a incarnare la più squallida dittatura. L’amicizia fra i due fu fredda, interessata e oltremodo formale, caratterizzata dalla vanità di entrambi che facevano a gara nel pavoneggiarsi. Mi tocca in un certo modo per il semplice fatto che io vivo in Via Araldo di Crollalanza, strada che si incrocia ironicamente con Via della Resistenza. All’incrocio delle due c’è casa mia, che di mestiere scrivo poesie. Quando D’Annunzio venne invitato in Puglia da Crollalanza fu ospite di un proprietario terriero amico del fascismo, Tommaso Cassano, che aveva partecipato all’omicidio di Giuseppe Di Vagno, sindacalista e primo parlamentare italiano ucciso dal fascismo, nel 1921, di cui campeggia in piazza nel mio paese una targa commemorativa. Quando poi, caduto il fascismo, si decise di procedere contro Cassano per quel delitto, non si riuscì a condannarlo per via dell’amnistia voluta da Togliatti. All’epoca si voleva soprattutto la pace e la ricostruzione, e si pensò che il tempo sarebbe stato galantuomo. Oggi sappiamo che il tempo ha la memoria anche troppo corta.
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