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martedì 19 marzo 2024

sgangarèd

Adesso che ha vinto la pigrizia non ne faccio quasi più, ma anche prima, quando partecipavo ai reading, preferivo sempre leggere, rispetto alle mie, le poesie degli altri, perché alla fine la poesia è condivisione di qualcosa che ti piace e sinceramente io non mi piaccio un granché. La poesia mi piace ancora, invece, anche se mi stanca parecchio. Ma prendendo insieme le volte che ho letto, posso dire che almeno fra le mie scelte le due poesie che in assoluto piacevano di più al pubblico, avevano in comune una cosa: il dialetto di Santarcangelo di Romagna, un luogo bellissimo che ho visitato anni fa con Clery Celeste. Delle due, una poesia d'amore delicatissima era di Raffaello Baldini e si chiamava IN DEU (In due) e l'altra, di Nino Pedretti, era E’ MI BA (Il mio babbo), che penso sempre contenga i versi più belli in assoluto mai scritti su questo argomento, e quella parola "sgangarèd" (sgangherato) che ti balla sulle ossa come un vestito troppo grande e tenuto stretto dalla cinta, l'odore buono della povertà e della terra, tanto che ogni volta che leggo i tre versi finali di quella poesia me li sento cuciti addosso come fossero miei in un'altra lingua. E sono versi, aggiungo, scritti in dialetto perché la lingua dei padri, o meglio ancora la nostra lingua affettiva è nel dialetto, cioè dentro la pancia, o meglio fra la pancia e la gola, non nell'italiano, che sta sopra, nella testa. L'italiano viene dopo, già traduce. E la poesia di Pedretti, bellissima, finisce così:

 
...e’ mi ba, fra i ba e’ piò sgangarèd,
l’a scrétt dréinta ad mè
tott al mi poeséi.
 
...mio padre, fra i padri il più sgangherato
ha scritto dentro di me
tutte le mie poesie.

venerdì 24 novembre 2023

il genere

Ieri leggevo Cesare Garboli che in un saggio sulla Ginzburg scrive: «Il romanzo non è forse stato inventato dall’uomo – dalla donna che è nell’uomo – per le donne?». Garboli attribuisce insomma alla forma romanzo un genere prevalentemente femminile, o comunque diretto dal maschile al femminile, e non a caso dedica la maggior parte delle sue energie critiche, su quel fronte, a Natalia Ginzburg e ad Elsa Morante, che ritiene le due massime espressioni di romanziere del Novecento italiano, mentre al contrario mi par di capire la forma poesia ha per lui un’attitudine più fortemente maschile. Mi ha fatto pensare a Nino Pedretti che nel suo dialetto romagnolo dice “i poeséi”, declinando poesie al maschile: nel suo dialetto cioè, prima che l’italiano arrivasse a livellare i generi, la poesia è di genere maschile, e chissà in quali altri paesi succede così. Tornando a Garboli, il modo in cui sente la poesia deriva, immagino, dal fatto che Garboli si è formato sull’opera di Dante, che ha connotati fortemente maschili, ma fa particolare specie quando ti accorgi che i poeti prediletti da Garboli, quelli a cui ha dato di più in termine di amore di lettore, sono Sandro Penna, poeta discretissimo che canta l’amore omoerotico per il fanciullo, e Giovanni Pascoli, poeta tragico ma così poco mascolino, così morbosamente legato alle gonne famigliari, ma che nella sua interpretazione viene liberato dall’immagine del fanciullino per entrare in uno stato di premorte, Pascoli in Garboli è un bambino nato morto e costretto a passare suo malgrado sulla Terra, un po’ come all’opposto Dante è un vivo che, ricalcando lo schema classico, viene costretto dalla vita a muoversi nell’oltretomba. Ma ancora Dante, un po’ come nell’idea di romanzo che ha Garboli, è diretto dal maschile (Virgilio) al femminile (Beatrice) per arrivare a Dio, che è l’universo e che Dante descrive, guarda caso, come un libro.

mercoledì 12 settembre 2018

tutta la roba che mi son scordato

Mi son scordato di quando
mi vergognavo di me
e pisciavo nel buio
nell’orinale
ed era come parlare
il dialetto
mi vergognavo
ch’era il parlare della serva
la vergogna
per quella sua faccia rozza
che non volevo vicino
nemmeno in corriera
quando s’andava al mare
con tutta la famiglia.
Mi son scordato
che ho sparato a un gatto
ch’è andato a morire in un buco
in mezzo all’orto,
che ho fatto un sorriso
ai potenti
ma a Finotti niente
nemmeno una parola
ché io non ero buono
o forse non ci ho badato.
Mi son scordato
persino dei miei nonni
che passavano la domenica da soli
seduti sulla cassapanca
nella loro casa vuota.
Mi son scordato anche del babbo
che se era un disgraziato
mi ha portato
una volta da bambino
per quattro miglia in braccio
in cerca d’una bambola.
E mi son scordato la voce
di mia mamma
che diceva
“te e la puttana che ti ha fatto”
e ora è da scemi se la cerco
nel buio delle stanze
sotto gli specchi
che fan paura la notte
e nei cassetti, fra i panni
nei suoi occhiali
senza una stanga,
nella dentiera
dove si aggrappa a un segno
simile al sangue
ch’è di plastica rosa;
un segno che mi par dire
che io le sono stato lontano
per tutta la vita.

(Nino Pedretti, Al vòusi, Einaudi, traduzione mia)