Gli amori dei poeti sono storie – raccontano –
non credono a un per sempre che sia eterno
non durano più a lungo che nei versi.
“Se sapessi come sento Siena tutta tua!
Ti respiravo nelle strade ed ero disperato.”
Lo scrive Montale alla sua Clizia.
Non c’è scampo alla distanza
eppure c’è una nicchia per chiunque
se ci credi in cui salvarsi
lascia illesi i ricordi le emozioni
persino della voce vibrazioni
che tremano nei nostri giuramenti
dai piedi della torre indifferente altissima se non
per i piccioni. A ognuno il suo rifugio
secondo le sue ali. Pensa il nostro
è ancora lì nella sala
del Mappamondo al tempo in cui
Simone si arrampicava ogni mattina
su impalcature traballanti di pittore
a dipingere più in alto
delle stesse finestre una città vertiginosa
conquistata sul vuoto
il cielo blu reale o cobalto
surreale e perfettissimo di un mondo
tutto nostro in cui nasconderci
e tracciare nuove rotte e chiavistelli
per le porte che mai aprimmo.
“Presto ti mando l’amuleto
una nuova poesia
e una lettera lunghissima” è Montale
che piange contro il tempo
malfattore che rosicchia le sue lettere
avvelena le fonti della storia e toglie
corpo a Clizia. Offre i suoi
scongiuri come talismani. Ne capimmo
noi presto l’importanza
e tu infatti poi mi regalasti
fermo il tuo orologio da portare
sempre in tasca. “Non lo voglio
– mi scrivevi – il tempo
senza te sarà vuoto sarà vuota Siena
come un letto senza baci.”
Ti regalo io un ombrello per salvarci
a te creatura d’acqua per difenderci dal cielo
dalla pioggia che rattrista
il nostro ultimo saluto quando
meno illesa a goccia a goccia che partivo
dalla strada mi gridavi “vai solo! vai solo!”
per due volte e già sembrava un’eco
nel tempo nella storia che racconto.
“Forgive my prose. Quando
come ci rivedremo?” chiude Montale
il suo carteggio irrisolto con Clizia.
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