domenica 7 dicembre 2014

faru

Mi dice di chiamarsi Faru il nero che mi sceglie e mi si siede davanti con un: “Hello, man! How are you?” Attacca subito con la sua storia, in una lingua traballante e molto avventurosa in chi mischia inglese, il nostro dialetto e italiano smozzicato: “Mi chiamo Faru, trentasei anni. Sono arrivato in Italia nel 2007 in auto. Di tutti quelli che hanno fatto il viaggio con me non si è salvato nessuno, tutti morti. Ci siamo salvati solo in due, io e un altro. Due è il mio numero preferito. Io dico sempre che i giorni della mia vita sono due, quello in cui sono nato e quello in cui sono morto. E cosa viene nel mezzo è solo un caso.” Vende oggetti sulla spiaggia Faru, nella zona di Monopoli, ed è amico di Dio. Lo ha capito un giorno che un tipo l’ha accusato di avergli rubato una radio. “I miei occhi no, mi ha detto Faru, ma il mio cuore piangeva. Ho alzato le mani al cielo e ho detto a Dio: io non sono violento, sono buono, ma se tu sei mio amico, allora vendicami.” Poco dopo hanno scoperto che a rubare la radio è stato un bambino e il tipo che l’ha accusato ha avuto un incidente d’auto. Allora Faru ha capito che Dio è suo amico. “Per cui, amico mio, conclude Faru, ora tu puoi scegliere se aiutarmi oppure no, ma ricordati che Dio è mio amico”. Io lo guardo, mi metto a ridere facendo di no con la testa, e allora lui capisce, mi stringe la mano con forza e mi dice: “Ti auguro buona fortuna, amico. Sei coraggioso.” Poi si solleva e si sposta due sedili dietro al mio, per fare l’identico discorso all’altro dei due passeggeri nel vagone.