lunedì 31 agosto 2015

cantautori


Se non ci fosse stato Guccini ci saremmo accontentati di Vecchioni e di De André? Ci saremmo fatti bastare Claudio Lolli? Avremmo dandeggiato sulle note di Paolo Conte, raffinato melomane cosmopolita e provinciale? O avremmo seguito l’evoluzione e i deragliamenti di Alberto Camerini? I ripiegamenti pensosi di Finardi? La poesia di Antonello Venditti tra sguaiataggine e malinconia nazional-popolare? L’eclettismo di Lucio Dalla? Gli orientalismi di Franco Battiato? Il lirismo prezioso e vagamente stizzito di De Gregori? I baffi di Gino Paoli? La genialità cabarettistica del livido Lauzi?
I cantautori dei miei diciassette anni non erano poeti. Erano molto di più. E, su tutti, troneggiava Francesco Guccini, cantore di frati mai stati frati, di eroi già sbronzi al mattino, di giornate avvelenate, locomotive kamikaze, fiaccole anarchiche, silvie sbeffeggianti, pensionati cerimoniosi, tipi antisociali, annegati romantici, catene di monti coperte di abeti, uomini morti senza proferire l’ultima frase saggia, alberi giovani e forti, vecchie suore nere, sbornie, amori, krapfen e boiate, gatti, crisi non chiarite, religiose sonnolenze di orti, auto prese a rate, feste di compleanno finite male, libertari controllati da clero e Stato, antiche carte di corsari, angosciosi inverni cittadini, osterie, ragazze che se ne vanno, madri con forti emicranie serali, weltanschauung strambe, blue jeans vecchi e poche lire, figli dei fiori incuranti del domani, strade che corrono lunghe e diritte, bagasce che passeggiano nei viali, isole che si tingono d’azzurro (color di lontananza), belli con il vestito della festa, le luci dentro il buio, bikini amaranto, inquietanti nebbie, il tempo che dà e prende, stoviglie gozzaniane, Cristi eliotiani, Borges, Edgard Lee Masters, Hemingway, Omar Khayyam, Cartesio, Linus, ghirlande (per ornarti i capelli), albe come pugni in faccia, caffè della stazione, contadini curvi nei primi anni del secolo (scorso), lapilli, lamiere contorte, Americhe, vagoni dondolanti, uccelli iridati, budda, chela, animali mitici da bestiari, Marco Polo, antichi fasti, Jan Hus, roghi, peccati, espiazioni, tavoli di marmo, un cazzo in culo, dubbi di qualunquismo, il riso di chi ha nel cuore l’odio e nella mente la paura, stagioni di canzoni (e di facili illusioni), teoreti e preti, cazzate, case sul confine della sera, Gianni che nuota a vent’anni (ma lì avrà sempre vent’anni), conformisti radical-chic che apprezzano i film di Michelangelo Antonioni e Monica Vitti, gente bene, il colore rubino del vino sulla neve (perché lo cancellasti con il piede?), Mandrake, le urla dei bambini, bottiglie da aprire il giorno della laurea, le stesse cose viste sotto mille angoli diversi, lui (che si è ucciso per Natale), minestre riscaldate sulla stufa, liti con i vicini di casa, i pezzenti, le ali di una nuova forza, il progresso, la giustizia proletaria, ipocondrie, Cenne e Folgore, il mondo a capo chino, carnevali che impazzano, l’aprile crudele, chicchi d’uva grassi con le pance piene, fango, neri alberi, Benito, la Dc (ma di sinistra), futuri senza Ford, alcolizzati senza una lira in tasca, i fumetti, lavoro, casa, figli e consorte, coscienze pure, accuse di arrivismo, “andate e fate”, venerdì santi (prima di sera), visioni e frasi spezzettate, il Florìda, le catapecchie, la notte, il fiasco (se muoio rinasco finché non finirà), la mia chitarra romana (la pizza napoletana, l’azzurra marina), Fantoni Cesira (con il piacca), la signorina Argia, la Fiera di San Lazzaro, l’universo (creato a tempo perso da un vecchio con la barba bianca), la carne Simmenthal, voci di altre età, anelli al collo (che si stringono sempre più), aquiloni al vento (che a terra ricadranno), la grande bellezza di ottobre, il mosto e l’ebbrezza, le scelte fatte in piena libertà (quante ne hai fatte se ti muovi sempre dentro ad una prigione?), il vizio (di vivere) che ti ucciderà, tu (che forse giovane non sei stato mai), quell’amore – poi – reale, le canzoni di moda, Grazia, i cioccolatini, i cugini, i marinari, to peder (su l’us), laureati che contano più di cantanti, i libri.
Tutto questo i miei diciassette anni se lo trovarono nel piatto e lo sbranarono. Su questo la mia memoria si fece le ossa. Senza la lezione di Guccini (la lezione magistrale di un Maestro maiuscolo nella stazza e nella bravura affabulatoria) tanti di noi sarebbero un po’ diversi da come sono. Io dico un poco più poveri. E più spaesati e soli. 

Gianni Priano

2 commenti:

amanda ha detto...

e poi disse al vecchio con voce sognante:
"mi piaccion le fiabe, raccontane altre"

Anonimo ha detto...

Ricordo come fosse ieri una stanza alla Casa dello Studente ... io e tanti altri e un mangianastri con dentro una cassetta ... eravamo tutti un po bevuti e un po fatti ... non conoscevo ancora il Maestro ... poi quella frase che mi arriva come un pugno allo stomaco .... Trionfi la Giustizia Proletaria ... in quel momento la mia Vita è cambiata (e credimi ... non è un modo di dire). Leggendoti ho pianto.....