Un giardiniere che, per brevissimo tempo, è stato celebre per un suo libro di viaggio in moto da cross attraverso il Messico non si incontra tutti i giorni. Eppure una mattina mi chiama al telefono e mi chiede un appuntamento per propormi, durante la mezz’ora che è riuscito a ritagliarsi fra una potatura e l’altra, la pubblicazione del suo nuovo libro prima della sua probabile partenza.
Non l’ho mai visto prima, ma vive a pochi chilometri da casa, in un centro spirituale in perfetto stile indiano, ma organizzato come un B&B. Dorme lì gratis, in cambio di lavori di fatica fra cui la potatura di altissime palme sulle quali è il solo capace di arrampicarsi senza vertigini. Al suo interno fa vita appartata, sua unica compagnia è un gatto transgender che a un certo punto ha cambiato genere in maniera spontanea, trasformandosi da maschio a femmina. Per il resto lavora duro e senza respiro. Si sveglia all’alba, mangia da solo quanto più può per darsi energia – e svuotando ogni volta il frigo, motivo per cui non lo amano – poi tira dritto fino al tramonto con la consapevolezza che presto, appena fa due soldi, andrà via.
Da come si descrive lo diresti un uomo taciturno. Invece, gioviale come pochi, mi si siede davanti e mi parla dei suoi racconti, oppure comincia a leggermi stralci dal manoscritto, scoppiando a ridere di tanto in tanto travolto dalla sua stessa ironia.
Ricordo una storia in particolare in cui, in un suo viaggio onirico arriva in una valle. Ci è arrivato sognando perché gli hanno detto che qui, tutte le mattine, succede un fenomeno assai particolare a cui vuole assistere. Nella valle vivono, ancorate al suolo, delle enormi forme dormienti, lunghe fino a venti metri, che palpitano nel buio della notte, e che sollevandosi all’alba, risvegliate dai primi tiepidi raggi, trasformano la valle in una sorta foresta pluviale. Ecco che lontano, dietro l’orizzonte, comincia a intravedersi la luce, la terra si muove pigramente, poi trema per lo stiracchiarsi dei corpi, il loro gonfiarsi e irrigidirsi, tirarsi su pian piano a scatti, impennarsi e incurvati lievemente verso il cielo, rosei, lucidi e tirati in cima, appena scossi dal fresco del primo mattino che li pizzica. Una vera foresta di cazzi equatoriali.
Sarebbe una visione maestosa e degna di Moebius, se a questo punto non arrivasse a mungerli una squadra attrezzata di nani che, con grande abilità, si arrampicano lungo il loro fusto nodoso, arrivano in punta e cominciano a massaggiarla con decisione fino a farli eruttare in uno spruzzo che ricorda l’esplosione di un gaiser o di un pozzo petrolifero, impiastricciando la valle dei loro succhi vitali. È una tale sconcezza di sogno che alla fine il suo stesso autore decide di abbattere questa foresta oscena ricorrendo alle forze speciali dell’aeronautica: una pattuglia composta da aerei a forma di vagina, che grazie ad ali basculari sono capaci di atterrare in verticale sopra i cazzi e…
Gli dico che le sue storie mi piacciono ma non ho tempo di seguirlo, così lo passo a Luca perché ci lavorino assieme loro due. Ci lavorano così tanto – con lui che riscrive intere pagine del libro per ridarcele identiche a com’erano in partenza – che, ironia a parte, alla fine il libro non si fa più. Ci salutiamo, molto tempo prima della data annunciata per la sua partenza, quando ormai stufo di tutto e tutti, avendo fatto due soldi, mi telefona per comunicarmi che ha deciso di tornarsene un po’ dalla sua mamma, in Veneto.
2 commenti:
Trattasi di sogni nel sogni? :-)
in verità lui c'è :)
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