Mi accorgo adesso che l’ultimo ricordo che ho di Franco riguarda un incontro in libreria. Solo che, come al solito, non c’entravano i libri. Mi ero messo a parlare con Graziella, sua moglie. E a un certo punto lui si è avvicinato per metterle fretta, perché voleva tornare a casa. Io scherzando gli ho detto: “Franco, posso rapire tua moglie?” E lui, alla sua maniera, mi ha risposto: “Ma poi te la devi tenere”. Perché era sempre così con lui, c’era tanta cultura, libri appunto, e pensiero, ma poi si finiva sempre in una dimensione molto umana, semplice, concreta, si andava al cuore delle cose. Ecco, con Franco la cultura non era fine a se stessa ma era un mezzo per andare al cuore delle cose, come dovrebbe sempre essere e come spesso non è. Almeno in quello, spero, mi considero un suo erede.
Franco era un instancabile narratore di aneddoti. L’ultima volta che l’ho sentito al telefono progettammo una storia del nostro paese dal dopoguerra a oggi, attraverso dei ritratti di alcuni personaggi fondamentali. Qualcosa di simile all’opera di Svetonio ma calata nella nostra realtà. Avremmo coinvolto altri appassionati di storia e ognuno avrebbe scritto la monografia di un personaggio. Franco mi disse subito che voleva scrivere il ritratto di Peppe Campanella. Non credo che abbia fatto in tempo a cominciarlo ma lo riporto come traccia della sua inesauribile voglia di scrivere, di comunicare.
Ho imparato molto da lui, così come da Enzo. Mi ricordo ancora una volta in cui Franco se la prese con me, perché Franco era una bravissima persona ma sapeva anche prendersela. All’epoca facevo il direttore di un altro giornale locale e non pubblicai un suo articolo. Non ricordo di preciso di cosa parlasse, era un pezzo di denuncia a cui teneva, ma visto che avevamo già parlato del problema decisi, per motivi di spazio, di non pubblicarlo. Quando incontrai Franco, subito dopo l’uscita del numero, fu abbastanza freddo con me, e quando provai a parlarci per capire il problema, mi mazzolò ben bene. Se si metteva, Franco, sapeva anche come farti sentire in colpa. Ricordo che questa cosa riguardava un numero di luglio. Me lo ricordo perché, per un colpo di sfiga assurdo, sul numero di agosto facemmo un errore clamoroso proprio sul suo pezzo. Questo, di ben due pagine, parlava della festa di San Rocco e noi, per una svista grafica, sbagliammo il titolo. Quando mi arrivò il numero stampato e me ne accorsi mi vennero i sudori freddi. Roba che Franco mi toglieva il saluto per il resto della vita. Così feci l’unica cosa che potevo per rimediare, feci stampare delle strisce adesive con il titolo corretto dell’articolo e le appiccicai a mano, copia per copia, su tutte le 500 copie del giornale, poi corremmo a portarlo nelle edicole. Mi ricordo quando vidi Franco subito dopo, mi disse: “Bravo Tonino, sei distratto, ma ti sei fatto perdonare”. E mi regalò uno dei suoi panama, che ancora conservo.
[Questo ricordo di Franco Basile è uscito, in parte tagliato, sul numero di gennaio di Agorà, mensile di informazione di Locorotondo, per questioni di spazi editoriali. Lo ripubblico qui intero.]
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