Ero anziano e vicinissimo alla morte. Mi assegnavano un grosso premio letterario per il coraggio e l’ampiezza del mio lavoro poetico scritto a metà della mia vita, già passata da un pezzo. Ormai decrepito, piegato, quasi cieco e sordo, andavo a ritirare il mio premio. Salivo sul palco commosso e mi inchinavo in lacrime, ringraziando la giuria per quell’ultima attenzione, quasi un ravvedimento in extremis sulla bontà del mio lavoro artistico, frustrato da anni di indifferenza. Ma uno dei giurati a quelle mie parole correva a fermarmi, a togliermi dall’imbarazzo: «No no, ma che dice, stia sereno. Lei non ha capito, lo sapevamo tutti che era bravo, lo abbiamo sempre saputo, anche quando era un giovane ambizioso». «Io non capisco, non ho capito, ma perché, se sapevate, perché tanta crudeltà? Perché un tale spaventoso silenzio?». Lui sorrideva. «Non capisce? Ma era tutto uno scherzo il nostro, per farla rosicare un po’, renderla umano. L’abbiamo burlata due volte. La prima perché ha vissuto una vita intera nel dubbio se meritasse o meno il successo. E la seconda perché alla fine il successo lo ha meritato, ma non avrà il tempo di goderselo, poiché è scritto che morirà domani. Poco importa, visto che ormai non ha più nulla da dire, il successo non le serve a nulla».
1 commento:
Che pezzo di....
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