Mi pare che della morte di Pino Pelosi non abbia scritto nessun blog che conti, gli stessi blog pieni di grandi pensatori e interpreti del mondo che l’anno passato ci hanno ammorbato con tutto il possibile su Pasolini. Invece di Pelosi, che pure del romanzo Pasolini è un pezzo imprescindibile, nessuno ha detto niente, salvo i giornalisti di cronaca e i giornali che di lui si sono nutriti e in cui si è consumata la sua breve vita di personaggio secondario. Non è la scelta del silenzio, ma pigrizia. Come se più ancora che l’imbarazzo fosse scesa sul pensiero l’ombra annoiata della canicola estiva. Pasolini però su questa morte ci avrebbe scritto eccome, magari un capitolo nelle sue Lettere luterane che mettesse in connessione l’intima tragedia di Pelosi – vittima e non proprio vittima delle circostanze – e lo Stato sociale e giudiziario che quella tragedia ha avvelenato, prima infischiandosene alla carlona, poi tramutandola in una barzelletta sporca e infine prendendola con quel pizzico di serietà necessaria quando ormai non c’era più niente di serio da fare. Pelosi che muore nel giorno della chiusura del processo a Mafia Capitale, nel giorno dell’insulto a Carlo Giuliani da parte di un esponente del Pd: sono segni, avrebbe detto Pasolini, che vanno messi in connessione e interpretati. Io lo so, ma tant’è, la canicola s’è presa anche me. Dicono che ora quel delitto non avrà più soluzione, ma questo silenzio alla fine fa comodo a tutti e chiude in qualche modo una vicenda che, fin dall’inizio, non voleva essere conclusa. È bello così questo caso, come tutto ciò che in Italia è stato toccato dalla cultura della Chiesa. Se c’è mistero allora è sacro, e a noi Pasolini piace un poco santo e un poco peccatore, così facciamo felici tutti, come l’ostia ce n’è sempre un pezzetto buono per chiunque.
2 commenti:
Bello questo tuo post, lo quoto in toto (non sapevo manco fosse morto, pensa te quanto la canicola fa...).
anto', fa caldo! :)
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