Mi dirigo verso un sogno assai felice, dove parto per l’America col mio zaino in spalla per cercare un indirizzo dove ha vissuto Julio Cortázar che voleva scrivere di Charlie Parker. Trovo invece il giovane Bob Dylan che si esibisce nei caffè delle Università. Lo avvicino pieno di un’ammirazione che lui ancora non comprende, mi fa uno scarabocchio sul quaderno che dovrebbe essere un autografo e parliamo di equilibrio, che manca a entrambi, e di poesia e di canzone, e di quanta musica c’è sempre in una poesia e di come spesso sia maggiore la musica che sta dentro a una poesia della poesia che c’è in una canzone. Vince la musica, mi dice Bobby, ma mi piacciono entrambe, perché accontentarsi se puoi prendere tutto? Lo conosci Allen Ginsberg? mi chiede, ti assomiglia. Gli dico di sì, e che le sue sono considerazioni interessanti, ma sottili. Eppure i poeti stanno attenti ai particolari, mi dice lui sorridendo. Allora gli chiedo, visto che parliamo di scrittori, se conosce un argentino che sto cercando, Julio Cortázar, sparito mentre scriveva un articolo su Charlie Parker. Sono mesi che non scrive a sua moglie, né la chiama. Si teme si sia infilato in qualche guaio, forse droga, di quella che gira intorno agli ambienti del jazz. Gli rivelo che sono un investigatore privato e che mi hanno assoldato per ritrovarlo. Bobby mi risponde di no, non lo conosce, l’unico scrittore che conosce è Allen Ginsberg, che è ebreo, ma se voglio proverà a chiedere in giro. C’è un tipo, un nero matto figlio di troia ma con le palle che gli fumano per quanto è hip, che suona il sax sotto i ponti e sa tutto di tutti nel mondo del jazz, ed è suo buon amico aggiunge con orgoglio. Va bene, gli dico, grazie per l’aiuto. Poi, mentre ci salutiamo, mi dice che, se sono italiano, vuole venirmi a trovare un giorno. Ma certo gli dico, quando vuoi, mi fa piacere. Ho solo il divano da offrirti, ma è comodo. Ma Bobby mi strizza l’occhio e, pensando all’Italia, mi dice: Lascia stare il divano, piuttosto c’è fica dalle tue parti?
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