Ma se, non dico per contare qualcosa, ma proprio per esserci, esistere, sentirsi riconoscere come realtà che c’è, che fa, l’unica cosa che conta è ancora il rapporto personale, la partita di calcetto, l’amicizia e il rampantismo più del valore personale, e dunque l’esserci lì dove le cose vengono decise dall’alto, nei centri di potere e di scambio, allora mi chiedo, quale futuro potrà mai esserci a Sud, o per il Sud, se l’unico spazio concesso a un autore, a un editore, a un artista qualsiasi, al di là delle briciole concesse sui blog o nelle collettive o nei concertini più o meno riusciti, è quello che porta all’emigrazione, verso Roma o Milano, verso Berlino, Londra, l’Europa? Il Sud non valorizza, è vero, ma se anche valorizzasse, a chi importerebbe, visto che il Sud non conta nulla nei piani decisionali dell’industria culturale? Si fa grande retorica sul restare al Sud e sulla ripresa che prima o poi arriverà, ma mi sembra che siano tutte chiacchiere, che la strada da fare per la parità dei diritti invece di accorciarsi si allunghi sempre più, si faccia sempre più difficoltosa, fino a chiedermi se valga davvero la pena di lottare, o se non sia meglio lasciarsi semplicemente morire, come già fanno in tanti.
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