Finalmente ritornato a casetta mia dalla Romagna posso dire, avendoci rimuginato un po’, che dal mio punto di vista il momento più alto di Tredozio si è avuto domenica mattina, quando una semplice ragazza di cui non so nemmeno il nome e che non ha mai pubblicato un libro, a microfono aperto ha letto una sua poesia in rima baciata nello stile di Gianni Rodari che parlava di una bambina che impara a scrivere e della felicità della sua maestra. Era una poesia semplice, senza pretese che non ci provava nemmeno a essere colta ovvero a spiegare perché si deve necessariamente soffrire per essere poeti – tema a cui ci siamo assuefatti ma che ha rotto un po’ – ma esprimeva attraverso gli occhi di una bimba la gioia fisica e concreta di chi compone la sua prima parola. Ecco – ho pensato in quel momento – questa poesia che è come un raggio di sole ci mette tutti quanti in riga. Da una parte i poeti laureati, pluripubblicati, o che devono assolutamente pubblicare prima di morire troppo giovani, e primeggiare e dimostrare, che si prendono più o meno (ma soprattutto troppo) sul serio, che hanno qualcosa di importante da dire o da non dire ma il loro silenzio ha comunque un peso, e che dicono sempre male, di tutti, che devono esprimersi ed esprimere a ogni costo il loro punto di vista e peggio, devono ESSERCI, ESSERCI, ESSERCI (con discrezione) altrimenti gli prende l'ansia di NON ESSERE. Dall'altra una ragazza che arriva, legge la sua poesia in rima baciata per il solo piacere di condividerla, sorride, saluta e se ne va.
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