Credo che Vittorio Sgarbi – che pure seguo con grande simpatia e certe volte con stima per le sue idee e il suo anticonformismo – sia oggi l'esempio più vivace, certamente il più esposto, delle contraddizioni che caratterizzano in Italia gli un-tempo-detti intellettuali, ovvero coloro che avrebbero i mezzi critici per pensare e dire la loro. Prima litiga in diretta – alla sua maniera – con Giampiero Mughini, arrivando allo scontro fisico, ma commentando l’episodio in uno dei suoi video e sostenendo che lui è per la violenza verbale – definita l'ultima forma di libertà d’espressione dell'individuo sociale – mentre è contrario a quella fisica che è male, è reato ed è punibile. Poi, un paio di giorni dopo, fa un post pro-salviniano in cui se la prende con Enrico Mentana che, da giornalista, si esprime in difesa dello Stato di diritto in cui forse viviamo e contro gli abusi di alcuni membri delle forze dell'ordine contro il ragazzo sospettato dell'omicidio del carabiniere di Roma. Sgarbi sostiene che quel ragazzo è una bestia – declassandolo al ruolo di subumano – e non c’è nulla di male a trattarlo così: applicando alla perfezione, quindi, almeno nel linguaggio, il retaggio colonialista che finché non sono riconosciuti come uomini si possono sempre malmenare. Se invece sono riconosciuti come uomini – vedi Mughini – allora li puoi semplicemente trattare da stronzi, ma solo se ti contraddicono nell’espressione delle tue idee. Il che, ovviamente, nel mondo di Vittorio Sgarbi è l'esempio della sua libertà irrinunciabile a esprimere le proprie sopra tutto e tutti: quella per cui Voltaire si starà ora rivoltando nella tomba.
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