domenica 23 febbraio 2020

parassiti

Ieri, a una serata karaoke, a un certo punto hanno cominciato a cantare Sincero nella versione rivista da Morgan (strofa di Morgan, ritornello di Bugo, di nuovo strofa riscritta di Morgan, finale con battuta "Che succede?"). Erano quasi tutti ragazzi e la cantavano a memoria, la sapevano come sapevano Felicità di Albano e Romina o Completamente dei Thegiornalisti, mentre incespicavano sul testo di Disperato Erotico Stomp o Tutto il resto è noia. Ho pensato che Morgan, indipendentemente da cosa si pensi di lui e del suo gesto, è riuscito a prendere una canzone scritta da un altro, che dopo Sanremo sarebbe probabilmente finita nel dimenticatoio, l'ha fatta sua sacrificando lo stesso autore (e amico) alle proprie esigenze e così, ammazzando l'autore, l'ha fatta diventare di tutti*. Cosa fa la differenza, in tutto questo, fra il capriccio di uno stronzo e un'operazione performativa (cinica, furba, drogata, ecc.) ma che ha un suo indubbio fascino? Alcuni giorni fa leggevo che c'era del futurismo nella sua performance, io ci vedo più del ready made e del teatro della crudeltà applicati, con malizia, ai canoni del linguaggio televisivo. E tanta autofiction, che ha trascinato nel suo movimento autodenigratorio persino l'apparente parte lesa, Bugo, il quale subito vi si è adattato (occhiali neri da vedova) insieme a tutto il carrozzone mediatico. Qualcuno dice che fosse tutto studiato a tavolino, perché non si può più credere che qualcuno riesca a spezzare una finzione scenica forte come quella televisiva, in virtù di un gesto, di una sola azione significante. Eppure, il senso ultimo di un gesto artistico, per chi ci crede, è proprio quello di spezzare una finzione per crearne un'altra, deviando il corso della prima. C'era verità o no, allora, nel gesto di Morgan? Ma il punto, ormai, non è nemmeno quello. Il punto è che il festival di Sanremo sembra finito da un pezzo (chi lo ha vinto? chi ne parla ancora?) e ieri quei ragazzi cantavano a memoria la canzone di Morgan (e Bugo), che quindi sta entrando nel loro immaginario. E come ho imparato negli anni, ma potrebbe dirvi chiunque si occupi, altrettanto cinicamente, di mercato artistico: può essere arte, se se ne parla oppure no; ma è arte soltanto se se ne parla. 

*Mentre osservavo tutto questo, ieri, chi era con me mi parlava del film Parasite.

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