Primo (tragico): Quando si dice che il modesto pantano della poesia italiana – più ancora di quello del romanzo – è asfittico, non significa certo che manca la poesia, ma che manca proprio l’aria. Non per nulla, per riuscire a emergere in questa vasca servono dei buoni polmoni. Chi meglio sa trattenere il respiro, più a lungo sguazzerà nel liquame fino al possibile successo.
Io davvero non capisco come facciano, certi giorni mi sento soffocare a ogni bracciata. Né mi risolleva avvertire come ciascuno, nel suo muoversi, si senta soffocare quanto me. Questo so: qualcuno, per talento naturale, o ambizione, o amicizie, galleggia senza sforzo, e qualcun altro no. Saperlo, e non riuscire a fare a meno di annaspare nella merda insieme a loro, mi fa schifo il doppio.
Secondo (comico): Dice un nostro proverbio: «I nuvele l’accucchje u vinte. I fèsse s’accucchjene da pe lluore». I poeti, ovviamente, non sono nuvole. Le nuvole le guardano soltanto, condannati a stare in basso, naso per aria come i fessi. Oppure starnazzando.
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