Chiudo il volume sulla situazione in Afghanistan pubblicato da Sossella – che è bello perché è una sorta di libro corale in cui i punti di vista delle volte concordano e altre si contraddicono a dimostrazione della complessità della situazione – con una nota sull’ultimo intervento, che è di Fabio Mini, generale che ha lavorato nella Nato e proprio per questo la conosce bene e la odia. Mini nel suo pezzo attribuisce (anche con ragione) buona parte dei problemi del mondo, e dell’Afghanistan nella fattispecie, alla politica interventista degli Stati Uniti e della Nato; minimizza come un’esagerazione l’indipendenza raggiunta dalle donne afghane sotto l’occupazione americana perché in ogni caso quella afghana, che è molto migliore di come ci è stata descritta dalla propaganda, è una società fortemente patriarcale; contraddice in parte un altro saggio del volume asserendo che se i dati ci informano che l’America ha investito miliardi di dollari sul territorio afghano in scuole e ospedali, un po’ è perché i dati sono stati gonfiati dalla propaganda (quindi non ci sono né scuole né ospedali) e un po’ è perché molti di quei soldi sono serviti ad alimentare l’industria della guerra. Sono tutte cose da prendere seriamente e su cui riflettere bene. Eppure mi chiedo: se gli americani sono i cattivi (e spesso lo sono) questo deve significare che tutti coloro con cui se la prendono gli americani sono i buoni? Il passaggio dove Mini mi lascia più perplesso è proprio questo: «I pregiudizi sui taliban di oggi poggiano sui giudizi del passato che comunque erano annebbiati dalla paura e dalla sete di vendetta. Non sappiamo come avrebbe potuto evolvere la situazione in Afghanistan lasciando i taliban al potere dopo averlo ripulito dai terroristi». Ecco, io leggo “pregiudizi” e mi tornano davanti agli occhi le immagini di quelle migliaia di persone che scappavano terrorizzate dal paese, che si attaccavano alle ruote degli aerei. Quelle persone che si staccavano dagli aerei e precipitavano nel vuoto, sono cadute per via di pregiudizi? Penso a un reportage di Internazionale uscito il mese scorso dove si dice che la condizione delle donne è peggiorata drasticamente ed è aumentato il numero di suicidi femminili in tutto il paese e mi chiedo: ma non sarà che le donne afghane stanno esagerando? Alla fine stavano male anche sotto gli americani perché quella afghana è una cultura patriarcale. Ma forse, come dice Fabio Mini, se li lasceremo fare con tranquillità, saranno i taliban a mettere la testa a posto e a epurare le frange più violente al loro interno. Non a caso, dopo averli distrutti nel 2001 per protesta contro l'indifferenza delle Nazioni Unite di fronte alla popolazione che moriva di fame, ora stanno valutando di accettare finanziamenti internazionali per ricostruire i Buddha di Bamiyan, anche se la popolazione continua a morire di fame esattamente come venti anni fa. E lo fanno per farsi riconoscere come leader politici perché vogliono restare al potere, perché “i taliban” non sono “gli afghani” e non è detto che gli interessi degli uni coincidano sempre con quelli degli altri. Così, forse, ha ragione Mini e ci sarà un graduale cambiamento. O forse, lasciando fare il suo corso alla storia, un giorno il popolo afghano sarà vessato a tal punto da far scoppiare una rivoluzione spontanea come sta succedendo in Iran. Del resto, come diceva Manfredi in quel film bellissimo che è Nell’anno del signore, solo sul sangue viaggia la barca della rivoluzione. Ne dovranno morire ancora tanti, insomma, prima di vedere un po’ di luce.
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